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    Guido Barbujani "Questione di razza" Edizioni Mondadori
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
       

     Di fronte a un mondo in cui i concetti di razza, di etnicità e di pulizia etnica stanno riprendendo uno spazio che si pensava perduto per sempre, in cui i problemi dell’immigrazione vengono affrontati nel peggiore dei modi, tentando di allontanare e di emarginare il “diverso”, le forme di resistenza di fronte al degrado della civiltà possono essere molte e molto diverse. 
    Guido Barbujani, scienziato e docente di genetica all’Università di Ferrara, ha scelto la via del romanzo e con “Questioni di razza”, edito da Mondadori, ci porta a conoscere un pezzo della storia italiana, gli anni Trenta, il Manifesto degli scienziati fascisti, la rivista “La difesa della razza”, gli stereotipi diffusi sulla “Razza italiana” e tutte le razze che dovevano essere tenute a distanza, osteggiate, perseguitate, perché pericolose per la “purezza italiana”. 
    La storia del prefetto di Ferrara, il siciliano Rosario Mormino, e della professoressa di liceo russa ed ebrea Tatjana Silbermann, l’accordo segreto proposto dal prefetto all’insegnante, di scrivere per lui articoli per il giornale “La difesa della razza”; il lavoro della Silbermann che in questo modo trova la possibilità di mantenere la propria famiglia dopo l’allontanamento dall’insegnamento; il libro che, infine, raccoglie gli articoli e la misteriosa dedica scritta in russo dalla vera autrice sul libro che porta il nome del prefetto: sono un modo per sottolineare la profonda ignoranza, l’enorme boria, le lotte intestine del regime fascista, la violenza che ha percorso il ventennio. 
    È importante conoscere gli errori del passato perché non si ripetano nel futuro, per impedire che disastri come quelli successi soltanto pochi anni fa possano ridiventare attuali e spesso un romanzo può raccontare più cose di un libro di storia. Soprattutto quando si possiede la capacità di scrivere lucida ed elegante di Guido Barbujani. La storia di politica, di storia, di scienza e, infine, anche di amore, si svolge con un ritmo incalzante ed emozionante, mettendoci di fronte a personaggi molto diversi tra loro ma immersi in una quotidianità provinciale, tra grandi sogni e piccole meschinità, pomposi discorsi e problemi di sopravvivenza. 
    Un romanzo nel quale soltanto alcuni nomi sono tratti dalla Storia. “Tutto il resto – scrive l’autore – l’ho inventato di sana pianta. Non sono invece inventati, né confinati in un passato ormai remoto, il razzismo e la tendenza di molti italiani a sottovalutarlo (o peggio). Nel 2002 non ha suscitato eccessivo scandalo, ed è stata liquidata come una boutade innocua, la proposta di istituire vagoni separati, per italiani e per immigrati, sulla linea ferroviaria Verona-Bolzano. Il 28 febbraio 2003 l’Italia, unico fra i Paesi dell’Unione europea, ha impedito per la seconda volta in pochi mesi l’adozione di una normativa comune contro razzismo e xenofobia”. 
    Un libro bello e importante, anche perché se è vero che la vicenda raccontata è “inventata di sana pianta”, quel mondo, quella mentalità, quegli errori, sono davvero esistiti e sarebbe bello non rivederli mai più. 
      
    gabriella bona 

   
 
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