embrice paleocristiano ritrovato a Paternò

 

RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI SUL SIMETO A PATERNO’

Coltelli e raschiatoi in basalto

La zona di Paternò non è estranea a ritrovamenti archeologici, anzi la sua strategica posizione di transizione tra la pianura e l’Etna, che ne fa il primo baluardo della piana di Catania e la sua ricchezza d’acqua hanno sempre attratto l’uomo fin dalla più remota epoca preistorica ( Paleolitico ). Attorno alla sua collina e nei pressi dei corsi d’acqua e nelle sorgive sono stati individuati numerosi insediamenti. Lo storico Sebastiano Tusa considera quest’area come una fra le più interessanti dell’intera Sicilia, riferendosi in modo particolare agli insediamenti Neolitici e del Bronzo. Merita una considerazione a parte l’aspetto storico anch’esso ben rappresentato. Ma se la natura è stata benigna per la zona, meno fortunati sono stati i ritrovamenti; la maggioranza dei quali sono stati sistematicamente saccheggiati e dispersi dai tombaroli. Pur non di meno Paternò non solo viene citata di continuo nei libri di storia e di preistoria ma è presente con ben tre vetrine nel museo archeologico nazionale di Siracusa. E’ recente la scoperta di un insediamento del Paleolitico inferiore a Pietra Lunga, di tutta una serie di reperti dell’età del Bronzo e del Neolitico nella medesima zona. Oltre ai resti di una villa greca e di un ponte romano. Un’intera necropoli è venuta alla luce nel 1990 in contrada Ciappi Bianche e un reperto di questa area è addirittura eccezionale: trattasi di un massiccio embrice ( tegola ) che porta inciso il segno del pesce, la mano destra e tutta una serie di triade prodotti con i polpastrelli della mano. L’interpretazione, con l’aiuto dell’attento prof. Angelino Cunsolo è che ciò costituisca una forma di preghiera funeraria dei primi cristiani e comunque un atto di fede dei primi credenti. C’è da considera che l’apostolo Paolo nel suo ultimo viaggio verso Roma sostò a Siracusa e che da lì poté partire il messaggio della buona novella di Gesù Cristo verso l’intera isola.

UN EMBRICE PALEOCRISTIANO SUL SIMETO A PATERNO’

embrice paleocristiano ritrovato a Paternò

Il reperto che sottoponiamo all’ attenzione è un embrice romano rinvenuto a Paternò nell’estate del 1990 in località " Ciappe Bianche ". Il ritrovamento,come spesso succede in archeologia, è stato abbastanza fortuito e in questo caso a seguito di lavori di scasso per la posa in opera di una condotta metanifera. L’ appassionato di solito si sofferma ad osservare su quanto emerge in lavori di scavo.

Su indicazione di tali lavori il sottoscritto assieme a Barbaro Pannitteri ha dissepolto il reperto fittile visibile che sporgeva seminterrato a circa un metro e mezzo di profondità. Attorno all’area c’erano evidenti segni di predazione e di scavi abusivi. Invitai pure l’amico prof. Angelino Cunsolo che fin dapprincipio dimostrò sensibilità all’argomento, a visitare il sito dove in una area di circa cinquecento metri quadrati erano disseminate ossa e tegole. L’unica tegola ad avere segni di riconoscimento risultò però solo quella in questione.

L’embrice misura circa 70 centimetri per 50 e che si tratti di una tegola funeraria trova sostegno non solo nel contesto che la circonda (parecchi resti umani ) , ma anche perché molti embrici erano intatti ( se si fosse trattato di una discarica non avremmo avuto praticamente nessun reperto intatto; ricordiamoci che fino a pochi anni fa in edilizia non si buttava quasi nulla e che veniva riciclato tutto il possibile , dai mattoni alle tegole e alle travi di legno.) Una indicazione che rafforza ancora la nostra tesi possiamo raccoglierla nella tegola delle catacombe di santa Priscilla di Roma. Sappiamo che le catacombe oltre ad essere luoghi di culto erano anche i cimiteri dei primi cristiani. la tegola in questione ( III secolo dopo Cristo ) reca dipinto un pesce ed una ancora. Inoltre alcune urne funerarie dell’epoca riportano sul coperchio il motivo della copertura con gli embrici ,ciò sta ad indicare che il seppellire i morti e il ricoprire il tumulo di terra con tegole quasi a dare un tetto al defunto, rappresentava un atto di rispetto che si perpetuava nel tempo tanto da divenire poi motivo di decorazione. I romani praticavano sia la cremazione che l’inumazione.

 

Catacomba di San Callisto, Appia antica, Roma - II secolo d.C.

                       simbologia del pesce e dell'ancora nelle antiche catacombe romane

Fatta questa premessa necessaria per poter iniziare l’analisi del reperto e partendo da tali considerazioni ci chiediamo la necessità dell’uso assiduo tra i primi cristiani di simboli e segni. La storia ci insegna che in Italia, fino all’avvento di Costantino, la nostra religione non solo era bandita ma si tentava in tutti i modi di cancellarla. I cristiani venivano perseguitati, incolpati di tutte le peggiori disgrazie , costretti a rinunciare al loro credo e dati in pasto alle belve bruciati o decapitati. Ciò è in parte spiegabile con il tipo di cultura schiavista e imperialista del potere romano che viveva di predazioni, tasse inique e schiavitù. Una dottrina come quella di Cristo che si basa  sulla libertà, sull’uguaglianza, sull’amore e che nega a qualsiasi uomo il potere di essere Dio significava minare alla base  la vita politica della Roma dei cesari. Sono gli stessi scrittori latini che ci riportano le torture a cui venivano sottoposti i primi cristiani:da Tacito a Lattanzio, da Minucio Felice a Tertulliano ecc. I primi cristiani perciò furono costretti per salvare le Fede ad utilizzare tutta una simbologia che in parte è perdurata poi anche quando le persecuzioni cessarono.

Il reperto porta impresso come si nota tutta una serie di segni che andremo uno alla volta ad analizzare. I segni sono un pesce, una mano e una serie di triade ottenuta riunendo il pollice , l’indice e il medio della mano destra. La stessa, probabilmente, che verrà impressa al centro del reperto. Va sottolineata l’azione volontaria meditata del messaggio cifrato; questo non è stato dipinto o graffiato su una tegola , ma a decesso del defunto si è sentita la necessità di commissionarlo ad un ceramista il quale a fresco ( lui o altri) ha impresso i simboli; si è atteso che la creta diventasse ben asciutta e poi la si è cotta: Tutte queste operazioni ci danno l’indicazione che il messaggio probabilmente partisse da un gruppo di fedeli verso un loro adepto o un loro rappresentante.

Per meglio capire il messaggio cristiano che reca il nostro coperchio, facciamo un salto nel tempo proprio dove comincia la nostra storia religiosa. Gli ultimi tre anni di vita di nostro Signore Gesù Cristo si svolgono in una regione che è circondata dall’acqua: dal vicino mar Mediterraneo, al fiume Giordano al lago di Tiberiade : Teniamo conto che i primi discepoli di Gesù sono dei pescatori, ciò ci fa capire come il pesce come alimento o come immagine venisse sempre a comparire nella vita quotidiana. Cristo userà spesso il pesce per paragonare il regno di Dio ad una grande rete che pesca pesci di tutte le sorti, incaricherà Pietro a pescare un pesce per pagare la tassa ai romani; moltiplicherà il pane e i pesci del giovanetto per sfamare la moltitudine che lo seguiva. E’ l’alimento che egli stesso consumerà dopo la resurrezione. Gli esegeti dicono che Gesù abbia scelto questo animale perché si muove nell’acqua simbolo della vita. Per i primi cristiani perciò è stato facile adottare tale simbolo; anche l’acronimo cioè le lettere iniziali in greco ci danno la frase: Gesù Cristo , Figlio di Dio Salvatore. Anche la tomba di S. Paolo a Roma, come risulta dalla mostra organizzata a Roma per l’anno giubilare del 2000, presenta un’impronta di piede.                                                                                                                          Il  reperto è stato consegnato alla soprintendenza ai beni artistici e culturali di Catania.

e-mail: laudaniorazio@virgilio.it