Decidere quando e come i Veneti (Cadorini) vennero “romanizzati” non è un’impresa semplice; se da una parte le ultime scoperte archeologiche hanno dimostrato che la moneta romana cominciò a circolare già nel II sec. A. C.,  dall’altro lato hanno anche dimostrato una coesistenza dei reperti veneti con quelli romani almeno fino al II sec. D.C. e lo stesso vale per la scrittura. Andrebbe quindi rivista anche la questione dei materiali di Lagole, dove si trovavano reperti romani in strati inferiori a quelli veneti; forse non si trattava di crolli degli strati gessosi ma di un uso degli oggetti venetici molto più prolungato nel tempo. Lo scavo del monte Calvario ha rimesso in discussione la data della sostituzione della scrittura venetica con il latino (ca. I sec. A. C.); oggetti iscritti in venetico sono in strato con monete del II sec.D.C. Questa situazione sembrerebbe confermata da una patera (piatto) del II sec. D.C. trovata in Carnia con un’iscrizione in venetico. La persistenza del venetico nell’area alpina potrebbe essere spiegata con il suo uso in un’area molto estesa, che andava dal Veneto all’Austria e all’Istria comprendendo tutto il Friuli Venezia Giulia; una lingua e scrittura che permetteva di commerciare a popolazioni di etnia diversa e che quindi non poteva essere sostituita facilmente dal latino. Una durata maggiore del venetico consentirebbe inoltre di spiegare la nascita della scrittura runica, come già ipotizzato dal professor Prosdocimi. D’altra parte la presenza di denari  d’argento romani, la paga del legionario, fin dal II sec. A. C. ad Auronzo, Lozzo, Pieve, testimonia i precoci contatti con Roma. Va anche segnalata la presenza di una moneta di Tolomeo V (204-180 a.c.) ad Auronzo (Gianni Pais), indice di commerci con Aquileia che fu dalla fondazione (181 a.c.) il porto preferito per i commerci con Alessandria d’Egitto(Gorini). Abitazioni di tipo romano sono attestate dal I sec.d.c. a Pieve, Valle e Lozzo, fra cui alcune con riscaldamento ad ipocausto, indice di ricchezza. L'unica gens attestata in Cadore, grazie alla lapide trovata a Valle, è quella dei Saufei, appartenenti alla  tribù Claudia. I Saufei provenivano da Preneste (Lazio) ed erano la famiglia più importante della città almeno fino alla guerra civile (82 a.c.); in seguito non si trovano più esponenti della famiglia in incarichi importanti. Un ramo della gens si trasferì a Roma, dove un Lucio Saufeio fu nominato magistrato monetale (165-150 a.c.). Al museo di Pieve alla fine dell'Ottocento era esposta una sua moneta (Antonio Genova, vedi bibliografia) trovata in Cadore,
un'altra è stata rinvenuta a Sedico. A Roma in età repubblicana non raggiunsero spesso incarichi di rilievo (due tribuni e un questore). La gens si dedicò poi ai commerci; i Saufei erano presenti a Delo, Minturno, Atene, Toscana e si occupavano di vari commerci, fra cui quello degli schiavi. In età imperiale sono presenti ad Aquileia, Verona, Vicetia, Tarvisium, Patavium, Altinum. L'iscrizione di Valle è stata datata al II sec. D.C., il che non esclude che i Saufei fossero presenti ben prima sul posto. Vista la lapide si ritiene che il nostro territorio facesse parte anche del municipium di Iulium Carnicum, che era assegnato alla tribù Claudia.Non esiste però nessuna iscrizione che colleghi direttamente il Cadore a Iulium Carnicum, tant'è che lo il prof. Carlo Anti ipotizzò che a Valle fosse situato il municipium di Berua, che non è ancora stato rintracciato. Quando si trovò un'iscrizione che sembrava assegnare Berua alla tribù Scapzia il discorso embrava chiuso; si disse che le possibili sedi erano Vicenza o Bolzano. Ma recentemente un'altra iscrizione ha definitivamente assegnato Berua alla tribù Claudia, eliminando il conflitto con la lapide di Valle. Un altro indizio sono le iscrizioni confinarie sul Civetta che riportano FIN-IUL-BEL ( confine tra Iulienses e Bellunati). Pochi anni fa il prof. Gregori ha ipotizzato altre spiegazioni per queste iscrizioni e  ha ritenuto non sufficientemente provata l'appartenenza del Cadore a Iulium Carnicum. In ogni caso va sottolineato che la grande distanza (fino a km.70) fra il nostro territorio e il municipium avrebbe  comunque portato a concedere una qualche forma di autonomia nell'amministrazione. Probabilmente una delle maggiori fonti di guadagno per il Cadore era il legname, dal momento che le grandi strutture termali ichiedevano quantità enormi di legname; l'iscrizione di Belluno su Carminio Pudente, protettore dei dendrofori (trasportatori di legname) e dei Catubrini lo dimostra. L'allevamento di ovicaprini, bestiame, cavalli è dimostrato dai reperti ossei del monte Calvario e di Lagole; non sono presenti pollame e maiali.Gli animali selvatici fornivano le pelli e le pecore la lana, le mucche il latte. L'agricoltura dava magri raccolti di foraggio e probabilmente molta frutta, fra cui grappoli d'uva. Probabilmente gli uomini migliori diventavano soldati di professione e, se ritornavano, portavano piccole ricchezze. Lo sfruttamento dei  giacimenti minerari non è attestato, i romani preferivano importare quantità enormi di metalli dall'estero, come tasse o a prezzi molto bassi. Ma poi cominciano gli attacchi dei "barbari" al limes e le Alpi diventano per i Romani una trincea. Nel 260 l'imperatore Gallieno decide di fortificare le Alpi, probabilmente con una serie di torri di avvistamento e piccole guarnigioni, che dovevano avvisare la pianura in tempi rapidissimi e permettere di preparare le difese. La presenza di queste guarnigioni sicuramente portò un certo guadagno alle popolazioni locali, oltre ad un minimo di protezione. Infatti non risultano tracce archeologiche di distruzioni in Cadore; le strutture di età romana sembrano tutte abbandonate e spogliate già in antico.     Rimangono dei dubbi sulla situazione dei santuari pagani; abbandonati o distrutti con l'avvento dei cristiani?  Le leggende sugli scontri tra pagani e cristiani sembrerebbero portare verso la seconda ipotesi, ma le prove archeologiche ancora non sono evidenti. Per quanto riguarda le vie di comunicazione non prendiamo posizione sulla Claudia Augusta ( da Altino al Danubio); ci limitiamo a notare che una via dalle nostre montagne ad Altino lungo il paleoalveo del Piave esisteva da molto prima dei Romani e che era ovvio migliorare le piste esistenti piuttosto che costruirne di nuove (vedi le scoperte sulla via Annia), che i Saufei, gens di commercianti, sono attestati in Cadore e ad Altino, che lungo la Valsugana i reperti archeologici diminuiscono proprio nel periodo in cui la Claudia Augusta dovrebbe attraversarla, che il de Bon le sue ricerche le ha fatte sul campo, ecc. Detto questo comprendiamo che i finanziamenti miliardari ottenuti con i progetti europei non aiutano a una discussione serena; come sempre saranno le scoperte archeologiche a chiudere la questione.