La nostra Cina

9° giorno: Domenica 29 agosto 1999:

A PECHINO, LA GIOVANE CAPITALE DI UN ANTICO IMPERO - Anche se la partenza dall’albergo di Xian è prevista per le ore 8,30, questa mattina la sveglia ci butta giù dal letto abbastanza presto: infatti, non più tardi delle 6.30 le nostre valigie devono essere già chiuse e poste nel corridoio affinché il personale possa raccoglierle e caricarle sul furgoncino diretto all’aerostazione. E, dato che stiamo parlando di valigie, vogliamo spendere una nota di elogio all’organizzazione per averci assicurato, durante tutto lo svolgimento di questo viaggio, un eccellente servizio di facchinaggio che ci liberato dal fastidio di dover trascinarci dietro i nostri sempre ingombranti bagagli.

Dopo la colazione a buffet, ci ritroviamo quasi al gran completo nella hall del "Le Garden Hotel" dove, manco a dirlo, ascoltiamo un coro di commenti molto lusinghieri su questo viaggio che, prima della partenza da Verona, ci dava non poche preoccupazione e che ora invece ci sta ripagando oltre ogni più ottimistica previsione. Oltre ai molteplici fattori positivi dei quali finora abbiamo beneficiato, come abbiamo qua e là accennato tra le righe di queste nostre noterelle di viaggio, vogliamo ora aggiungere quello relativo all’eccellente e perdurante stato di salute di tutti i componenti il gruppo, a proposito del quale Roberto e Piergiorgio, da esperti professionisti delle emergenze possibili ad un folto gruppo che affronta un lungo viaggio, hanno tenuto frequenti e assai rassicuranti "consulti". Al mantenimento di questo invidiabile stato di salute generale, riteniamo abbiano giovato sia il clima di serenità trasmessoci dal nostro inimitabile Roberto e la gioia intensa e crescente che abbiamo provato in questi giorni di indimenticabili esperienze fatte in un Paese affascinante qual è la Cina.

Dei tanti doni ricevuti dal Signore in questi giorni, si fa oggi interprete il Capogruppo nella preghiera comunitaria che, nell’impossibilità di partecipare alla Santa Messa, facciamo mentre il pullman corre verso l’aerostazione, dopo la lettura e qualche momento di riflessione sulla Parola di Dio di questa XII domenica del Tempo Ordinario. Poi ce ne stiamo tranquilli a guardare dal finestrino la fertile e ben coltivata pianura del fiume Wei finché verso le 10, giungiamo finalmente alla nostra meta. Abbastanza breve è l’attesa della chiamata all’imbarco del volo WHZ 109 della China NorthWest Airlines diretto a Beijing (Pechino) e il decollo avviene con assoluta puntualità alle ore 11.15. Il tempo è buono ma durante buona parte del volo incontriamo una estesa nuvolosità che ci toglie la vista delle zone su cui passiamo. D’altra parte, ben sistemati nelle nostre poltrone, ci dobbiamo occupare soprattutto dei cibi e delle bevande che, senza un attimo di tregua ci offrono le nostre premurose hostess dai sorridenti occhioni a mandorla. E così, quasi senza accorgercene, ci troviamo già in fase di atterraggio sulla sconfinata periferia di Pechino. Poi, con una manovra perfetta, ci posiamo dapprima sulla pista riservata ai voli interni e quindi, dopo aver rullato per diversi chilometri, ci fermiamo davanti all’aerostazione della capitale cinese, una delle città più importanti del mondo, e non solo per il fatto che qui risiedono oltre dodici milioni di abitanti. Pechino infatti può vantarsi di essere stata il più importante centro politico, culturale ed amministrativo della Cina un tempo sotto i Mongoli, i Ming e i Manchu, ed ora con la cosiddetta "Repubblica Popolare", proclamata esattamente 50 anni dall’allora indiscusso capo del Partito Comunista Cinese Mao Zedong. Mentre pensiamo a questo e alle tante altre interessanti cose di cui potremo fare esperienza durante il nostro soggiorno pechinese, arriviamo all’interno dell’aerostazione che ci appare di vecchia concezione e quindi inadeguata a servire in modo decente l’enorme via vai di persone da cui è presa d’assalto in ogni istante della giornata. Per fortuna abbiamo con noi Roberto che, aprendoci un impossibile varco nel bel mezzo di autentiche muraglie umane, riesce in qualche modo a portarci sul piazzale dove, come era programmato, troviamo il nostro pullman ed una simpatica guida locale che, per nostra comodità, chiameremo Beniamino oppure, quando lo conosceremo meglio, "Piccolo Terzo", come affettuosamente lo chiama ancora la nonna. Poi, non appena tutti i nostri problemi sono risolti, ci mettiamo in viaggio e, grazie ad una moderna autostrada costruita recentemente da un’impresa italiana, in circa mezz’ora arriviamo in un ristorante del centro dove, benché sazi per tutto quello che ci è stato servito sull’aereo, nel limite del lecito, siamo invitati ad onorare con qualche assaggio l’abbondante pranzo che ci è stato qui preparato.

IL TEMPIO DEL CIELO - Dopo un ampio giro per le scorrevoli strade del centro, durante il quale, oltre ai moderni grattacieli di recentissima costruzione vediamo spesso degli uniformi e già deteriorati palazzoni popolari dalla facciata rivestita da piastrelle, arriviamo al Tempio del Cielo che è un grande complesso monumentale della Pechino imperiale. Qui infatti, come ci dicono le nostre Guide, due volte all’anno, e precisamente al solstizio d’estate e a quello d’inverno, veniva l’Imperatore, il figlio del Cielo, per chiedere al Padre il grande dono della fertilità dei campi per la sopravvivenza del popolo cinese. Osservando le tre terrazze circolari di marmo bianco ed i tre edifici di straordinaria purezza architettonica, che sono allineati sul lungo rettilineo percorso dalle poche persone che formavano il corteo imperiale, possiamo farci un’idea della solennità del rito, pervaso dal fumo dell’incenso ed esaltato dalla luce del crepuscolo e dal colore delle bandiere e dei festoni che, come le tegole del Tempio che ora vediamo davanti a noi, doveva essere rigorosamente azzurro. Come ci fanno notare le nostre Guide, l’intera struttura di questo enorme complesso, che è opera non solo di architetti ma anche di astrologi e di geomanti, possiede una ben calcolata precisione geometrica che sottintende un simbolismo religioso e magico che per noi non è di facile intuizione. Infatti, il numero delle terrazze, dei templi, degli scalini, delle rampe d’accesso, dei pilastri che reggono il padiglione non sono regolati da canoni estetici ma da fenomeni che hanno attinenza con il Cielo, con gli astri, con il calendario lunare.

Seguendo anche noi l’intero percorso del corteo imperiale, grazie anche alle appropriate spiegazioni di Roberto e di Beniamino, ci lasciamo affascinare dal magico incanto di questo complesso di edifici religiosi che trova il suo apice nel conclusivo Tempio, detto del Buon Raccolto, dalla elegante pianta circolare e dal triplice tetto coperto da lucenti filari di tegole blu. Ci piace ricordare che l’ultimo di questo tetti è sormontato da una sfera dorata e che l’intera costruzione, fatta eccezione delle tegole, è stato costruito interamente in legno, con la tecnica dell’incastro, e quindi senza utilizzare nemmeno un chiodo. Dell’interno ricordiamo soprattutto le alte colonne laccate di colore rosso che reggono l’intera struttura e che, in pianta, formano dei cerchi concentrici per rappresentare, se ricordiamo bene, le stagioni, i mesi e le ore del giorno.

Oggi, intorno alle strutture monumentali del Tempio del Sole, si estende un grande parco pubblico nel quale trascorrono il loro tempo libero molte persone, per lo più anziane, che siedono all’ombra di grossi alberi o che passeggiano nei freschi viali interni. Anche noi, per raggiungere il nostro pullman, facciamo una distensiva passeggiata nell’estremità settentrionale del parco dove incontriamo anche dei venditori ambulanti che, a prezzi da svendita, ci offrono: gilè, cravatte, ventagli ed infine, per raccogliere tutta questa merce, delle comode e funzionali borse con tanto di scritta " Beijing".

PIAZZA TIENANMEN - Con una corsa lungo le grandi vie di scorrimento che, simili ad autostrade, passano nel centro di Pechino, arriviamo in Piazza Tienanmen che non è solo la più ampia piazza del mondo (circa 40 ettari) ma anche il cuore pulsante di questa affascinante capitale Cinese. Vi entriamo da sud, vale a dire dalla zona dove un tempo correva la cinta muraria della città tartara della quale resta ben visibile solo una porta sovrastata da una interessante torre di osservazione con doppio tetto spiovente. Passiamo in fianco all’alto e massiccio Mausoleo nel quale è conservata la salma di Mao Zedong, ammiriamo alla nostra sinistra l’enorme palazzo, detto "La grande Sala del Popolo" dove si riunisce il Congresso Nazionale Cinese che, nel linguaggio comunista, corrisponde, si fa per dire, ad un Parlamento; di fronte si erge un altrettanto imponente edificio dove è ospitato il Museo della Rivoluzione Popolare Cinese e, in una sua ala, il Museo della Storia Cinese. Arriviamo così nei pressi del celebre Monumento agli Eroi del Popolo, appena al là del quale, subito dopo una lunga teoria di pennoni con svolazzanti bandiere rosse, si distende completamente libera da strutture architettoniche la grande Piazza fino alla celeberrima "Porta della Pace Celeste" che immette all’antica Città Proibita. E’ questa la veduta più nota e simbolica della città di Pechino che abbiamo visto molte volte alla televisione e nelle foto che volevano dare una rappresentazione simbolica della capitale cinese. Al centro delle vecchie mura di colore rosso imperiale, dove si erge un edificio in legno a doppio tetto e alla cui base si vede la tribuna per le massime autorità del partito e del governo durante le più solenni cerimonie pubbliche, spicca un enorme ritratto di Mao Zedong, il Presidente che proprio in questo luogo, il 1 ottobre 1949, proclamò la Repubblica Popolare Cinese. In questo luogo suggestivo ed importante posiamo per la classica foto di gruppo ufficiale che ci viene scattata e consegnata in albergo da un fotografo professionista. Poi girovaghiamo qua e là per questa Piazza che, nel giugno del 1989, fu teatro del disumano eccidio, operato dai carri armati del regime comunista, di migliaia di studenti (il numero esatto delle vittime non è mai stato indicato forse per non impressionare l’opinione pubblica internazionale) che reclamavano il diritto fondamentale di ogni persona umana alla libertà. Peccato che libertà e comunismo sono tra loro inconciliabili, come proprio in questi giorni, ma assai tardivamente e forse solo per racimolare qualche voto, ha riconosciuto perfino il compagno Walter Veltroni, leader del maggior partito postcomunista al potere in Italia. Intanto osserviamo alcuni bambini che, intorno a noi, giocano spensierati con un aquilone che stenta a salire in alto. Allontanandoci pensosi da questa superba piazza, esprimiamo l’augurio che, al pari del loro amato giocattolo, anche i sogni di libertà di questi bambini cinesi possano quanto prima volare in alto senza che, in cambio, essi abbiano mai a mettere in gioco la vita.

Poco dopo, con il pullman, raggiungiamo il Grand View Garden Hotel, un albergo di recente costruzione ma dalle linee architettoniche della tradizione cinese. Nella hall, dove Roberto provvede all’assegnazione delle camere, riconosciamo i nostri bagagli, protetti da una rete e vigilati da due guardaportoni in lucente costume tartaro. Poco dopo essi ci verranno recapitati nelle nostre stanze dove ci concediamo una rilassante doccia e un po’ di meritato relax.

IL BANCHETTO CON L’ANATRA LACCATA - Questa giornata, particolarmente lunga perché ha visto il nostro trasferimento aereo da Xian a Pechino e la visita di alcuni ambienti assai importanti della capitale cinese, ha ora un’appendice culinaria che già da tempo ci stuzzica notevolmente se si considera che "un banchetto con l’anatra laccata alla pechinese", come recita il programma della serata, è un evento gastronomico che, ce lo auguriamo, dovrà restare memorabile negli annali delle nostre più significative esperienze di cucina esotica. Con tanta fiducia ed un po’ di appetito ci disponiamo quindi attorno ai tavoli rotondi del caratteristico ristorante " Orient " in attesa degli eventi. Questi, manco a dirlo, iniziano quasi subito - in Cina infatti si mangia sempre in tempi molto rapidi - con una serie di assaggi, corrispondenti forse ai nostri antipasti, annaffiati da un vino rosso corposo e assai gradevole al palato. Ad un certo momento, fa la sua apparizione un cuoco dai baffetti lustri che deposita su ciascuno dei nostri tavoli un vassoio con una bella anatra arrostita. Dopo qualche applauso allo chef e molti flash alla vittima sacrificata sull’altare della nostra golosità, intervengono degli aiutanti che, con coltelli affilatissimi, riducono a fettine il malcapitato palmipede prima di consegnarlo al severo ed attento giudizio del nostro palato. E, udito l’unanime giudizio dei buongustai veronesi, proclamiamo ufficialmente che si tratta di una vera prelibatezza della quale, a beneficio di qualche aspirante cuoco, vogliamo ora dare la non semplice ricetta. Prendere un’anatra bianca intera di tre o quattro mesi, disossarla, gonfiarla d’aria sotto la pelle e quindi riempirla a metà di acqua. Appesa per la testa, introdurla nel forno, che deve essere alimentato da legna di jojoba o di pero perché produce poco fumo. Far evaporare lentamente, col calore del forno, tutta l’acqua che è stata introdotta nella carcassa e contemporaneamente "spennellare" in continuazione con lo stesso grasso che cola nella leccarda, in modo che la pelle assuma una omogenea "laccatura" dorata. Dopo circa un’ora l’anatra è pronta. Lascio alla fantasia di chi vuol cimentarsi in questa impresa - si tratta infatti di un segreto che nessun cuoco svelerebbe - i particolari relativi agli odori e agli aromi che si devono usare con raffinata proporzione e così pure la specifica e le dosi degli ingredienti necessari per preparare a parte quella densa salsa scura nella quale vanno insaporite le fettine prima di farne un boccone prelibato quale è difficile immaginare se non lo si è gustato in un buon ristorante di Pechino. Provare per credere e magari per... invitare al pranzo anche colui che tanto si è dato da fare per procurarvi la ricetta. Ci sembra inutile aggiungere delle parole per far capire l’entusiasmo e la soddisfazione dei convitati nonché la loro euforia derivante in buona parte dai numerosi bicchieri dell’eccellente vino cinese che questa sera ci viene versato con la stessa generosità con cui di solito a tavola ci offrono il tè. E così diventa più facilmente comprensibile la nostra dirompente partecipazione al simpatico intrattenimento danzante che vediamo svolgersi nella piazzetta antistante un palazzone popolare a qualche decina di metri dal nostro albergo. E, anche se reciprocamente non riusciamo a balbettare nemmeno una parola di cinese o di italiano, siamo sicuri che quanti abbiamo incontrato qui casualmente, ricorderanno a lungo il nostro esuberante ma sincero desiderio di passare un po’ di tempo assieme e, se possibile, di diventare buoni amici.


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Ultimo aggiornamento: 17 febbraio 2000