La sua stanza d’albergo era desolante. Letto rifatto e tutto in ordine, ma asettica e triste. Guardò ancora una volta il telefono, ma poi decise di non chiamare nessuno. Non poteva cercare Angel ogni volta che stava male. Si sdraiò sul letto e iniziò a concentrarsi sulle sensazioni del suo corpo, sul suo respiro. Rilassarsi. Escludere ogni energia negativa dalle sue membra, dai suoi pensieri. L’inventario. Lo chiamava così. Cercava di concentrarsi su tutto quello che era successo negli ultimi tempi, per fare un bilancio. E scoprire che era in debito con il mondo e che ancora doveva lottare. Per se stessa. Per gli altri. Tassello dopo tassello, scalino dopo scalino. Una immaginaria strada verso una serenità che non aveva mai conosciuto. “Basta che arrivi ad un equilibrio” diceva Angel. Lui c’era riuscito. Ma era un po’ più vecchio, e sicuramente con più esperienza. Ripensò a Wesley. Che sussultava un attimo ogni volta che la vedeva. Per poi calmarsi. Sapeva quello che succedeva dentro di lui. In un certo senso la odiava. Ma il senso del dovere, l’amore per quell’accidente di mondo e di lavoro lo aveva convinto ad aiutarla. Pareva impossibile. Ma normale, quasi. Anche Giles era stato torturato da Angel e aveva perdonato. Ma almeno c’era la scusa della mancanza d’anima…
A volte sognava. Spesso si rivedeva con un paletto in mano mentre uccideva il collaboratore del sindaco. E si risvegliava senza fiato, spaventata a morte dalla sensazione di sgomento e soddisfazione. Affondare il legno nella carne. Sentire il rumore e il sangue fluire, con la vita di quell’essere umano scivolare via in un sospiro. Niente polvere. Niente vampiro che si dissolve eliminando le prove del delitto. E poi il risveglio. Sudata, tremante, piangente. Tornare a star meglio con la sua coscienza. Ecco cosa desiderava. C’erano giornate in cui avrebbe mollato davvero tutto per andar via. Cina? Sorrise al ricordo di Spike. Qualsiasi posto sarebbe andato bene, l’importante era stare lontano da guai, dai pensieri che l’assillavano e contro i quali continuava a lottare senza posa. Ma dai ricordi non si può sfuggire in nessun modo. E non doveva sfuggire, per tener bene in mente di cosa era stata capace. Per evitarlo. Facile essere spavalda e temeraria, o sbruffona con il prossimo. Era più forte di lei. Ma in quella stanza si gettava la maschera. E il dolore riaffiorava ad ondate, feroce e vivo, quasi carnale.
Buio. Si affacciava alla finestra con la sua solita arroganza. Preparare le armi. Notte di caccia. Nemico nuovo e paura. Un ordine non meglio identificato che vuole ucciderla.
“Venderò cara la pelle.” Lo disse a voce alta, ricordando un vecchio film western. Rise da sola, mentre accarezzava il suo giubbotto nero. Sentì bussare. Il sorriso scomparve immediatamente. Ma qual è il vampiro che bussa? Spike.
“Quanto costa questa pelle?”
“Parecchio. È da molto che mi spii?” Aveva aperto la porta, rimanendo un po’ in disparte a guardarlo.
“Qualche minuto. Non ti spio. Ti proteggo.”
“O dolce cavaliere…come ieri notte?” Faith si allontanò dalla porta, per tornare ad occuparsi dei suoi paletti sparsi sopra il letto.
“Mi fai entrare?”
“E chi te lo impedisce?”
“MA porc…ti ricordi che sono un vampiro? Mi vuoi invitare o no?” Faith rise, per poi compiere il classico rituale. Spike chiuse la porta, ancora scuro in volto.
“Pronta?”
“Perché, dove mi porti di bello? Ci hai ripensato su Rossella O’hara?”
“Uh? Ho scordato i pop-corn, però.”
“Va bene, li compreremo dopo.” Il ragazzo rimaneva a guardare dalla finestra.
“Sono là fuori?”
“Mi è sembrato di vedere un’ombra.”
“Perché lo stai facendo? Nessuno ti obbliga. Neanche la tua coscienza. Quelle ragazze invece hanno un tremendo senso del dovere, farebbero tutto per la giusta causa. Non sono commuoventi?” Lui si voltò. Faith non stava scherzando più. Vide la tristezza profonda dei suoi occhi, e per un istante sentì il bisogno di abbracciarla e consolarla. Scosse la testa.
“A volte è difficile ricordarmi che sei solo una ragazzina. Ben corazzata, ma solo una ragazzina.”
“Non mi hai risposto.”
“Per sentirmi vivo. Per quanto può essere vivo un vampiro, naturalmente.” Quelle parole bastavano. Le aveva pronunciate fissandola negli occhi, e lei aveva capito. Via d’uscita. Il dolore che sgorgava impietoso e copioso da quel vampiro, che doveva trovare una fine. Spike continuava a combattere da tempo contro i demoni di Sunnydale, anche prima del suo arrivo. Ma aveva bisogno di reagire. Di trovare uno scopo, per soffocare ciò che sentiva. Di perdersi in qualcosa. Faith sorrise. Provò compassione per lui. Ma anche invidia per Buffy. Come al solito. Lei aveva avuto tutto. Amici, una madre, una sorella. Angel. E Spike. Cercò di scacciar via quel sentimento scomodo, sfiorando la mano del vampiro. Lui non si ritrasse. Un sorriso, mentre accoglieva quelle dita calde. Il telefono suonò all’improvviso. Faith rimase bloccata a guardare l’apparecchio che squillava.
“Perché non rispondi?”
“Io…non so…non mi chiama mai nessuno, è la prima volta che lo sento suonare e…” Spike prese la cornetta, porgendola alla ragazza.
“P-pronto?” Il suo volto divenne subito serio. Nel giro di pochi istanti la comunicazione venne interrotta, e Faith si ritrovò ad infilarsi il giubbotto e prendere i paletti.
“Allora?”
“I tuoi amichetti. Sono da Dawn. Mi sa che hanno le idee confuse. Credono di trovarmi lì. Cristo, cercano ancora Buffy! Sono sotto assedio. Quei bastardi hanno taniche di benzina e armi varie. Willow e Tara si difendono come possono, ma…” Si voltò, e vide la porta aperta. Spike aveva già messo in moto, pronto per partire. Arrivarono in pochi minuti. Spegnendo il motore e i fari quando si ritrovarono a pochi metri dalla casa. Nel silenzio assoluto Spike indicò a Faith i posti dove erano nascosti i vampiri. Era una vera e propria imboscata. C’era un principio d’incendio nella porta secondaria, e si sentivano le urla di Willow che dava gli ordini sul da farsi. Vide partire una luce e qualcuno bruciare. Era uno spettacolo impressionante. Lui sorrise.
Sempre a gesti organizzarono la battaglia. Si diressero direttamente nella seconda porta, insieme, sorprendendo i vampiri alle spalle. Erano armati di pistole di vario calibro, ma non fecero in tempo ad usarle.. Eliminati i primi cinque tutti gli altri furono presto richiamati. Faith vide che ancora uno cercava di appiccare nuovamente l’incendio.
“Ehi, tesoro…mi sa che vi siete un po’ confusi. Sono io la cacciatrice e sono qua! Mi sa che avete sbagliato indirizzo!” Spike fece appena in tempo a mettersi davanti a lei, beccandosi un proiettile nella spalla. Il suo volto era quello del vampiro. Il demone che aveva sparato fece un commento incomprensibile prima di darsela a gambe.
“Ma sei diventata scema? O hai deciso di fare il bersaglio?”
“Ora è meglio se ce la svigniamo…” Faith iniziò a correre verso la moto, per mettersi a guidare e scappare nella notte. Spike continuava a tenersi la spalla sanguinante. Arrivarono in una zona tranquilla della città, dove una vecchia chiesa diroccata troneggiava lugubre e solitaria. La moto decise di spegnersi, e una certa lancetta segnalava chiaramente il motivo.
“Lo sai che si mette la benzina in questi trabiccoli?”
“Ehi, non avevo in programma nessuna fuga…” Scesero dal mezzo. Spike si sedette sui gradini in pietra, sotto un lampione. Faith lo raggiunse, aiutandolo a togliere lo spolverino in pelle e la maglietta per controllare la ferita.
“Però. Un bel proiettile…” La ragazza tolse fuori un coltello dallo stivale, e riuscì a scalzare il pezzo di metallo dalla carne. Ma si sorprese a guardare meglio il corpo di chi aveva davanti. Sembrava più magro con i vestiti addosso. Non era niente male. Spike rimase in silenzio, anche se una smorfia di dolore gli deformava il viso.
“Mi sa che ti devo qualcosa…”
“Se…brava… volevi farti ammazzare? C’era bisogno di presentarti?”
“Ehi…l’ho fatto per quelle là! Quegli stronzi credevano di trovare Buffy a casa e stanarla…ora sanno che c’è una nuova cacciatrice, e che lì non ci abita! Ho salvato la buccia alle signorine, altroché…” Il vampiro non fiatò. Faith continuava ad armeggiare con un fazzoletto.
“Lascia, tanto si risistema presto. Ho avuto di peggio.” Scacciò la mano della cacciatrice.
“Sei un po’ scorbutico o sbaglio? O ti sto facendo troppo male?” Spike non rispose, e fece segno di far silenzio.
“Mi sa che non li hai seminati. O che sono dappertutto…” Lui si alzò velocemente, prendendo Faith per mano e trascinandola con sé. Raccolse i suoi abiti da terra e li buttò via, lontani.. La moto era abbastanza mimetizzata.
“Vediamo quanto sono cretini. Se lo sono abbastanza non si metteranno a cercarci in chiesa.”
“Non lo so…pistole, taniche di benzina…credi che siano completamente andati?”
“Lo scopriremo subito. Sono troppi. E le croci sono sempre un deterrente efficace.”
“Non per te, vedo…”
“Basta non entrarci in contatto.” Spike e Faith si diressero verso l’altare. I rumori si facevano sempre più vicini, anche se Faith non riusciva a distinguerli più di tanto. Ma si fidava di lui. Un crocifisso alto dei metri troneggiava a due passi da loro. Faith lasciò la mano del vampiro e scostò la pesante tenda che si trovava dietro il simbolo cristiano. Un muro. Ma anche abbastanza spazio per nascondersi. Lei non fece in tempo a girarsi, che si ritrovò Spike davanti, che la spingeva verso la fredda pietra, mentre con una mano le serrava la bocca. I vampiri erano entrati. Sentiva distintamente le loro voci, anche se non comprendeva ciò che dicevano.
Faith cercava di calmare il respiro. C’era decisamente troppo buio, e chiuse gli occhi, come per concentrarsi meglio nelle sue sensazioni. Sentiva il corpo di Spike su di se, che la sovrastava, bloccando completamente i movimenti. Sorrise tra sé e sé. Malgrado la situazione piuttosto pericolosa si sorprese a pensare a come poteva apparire la scena vista dal di fuori. Un ragazzo, seminudo e ferito che la avvolgeva con il suo corpo.
Spike non riusciva più a ragionare. Sapeva che quello era l’unico modo per salvare la vita alla cacciatrice. Ma le sensazioni del suo corpo gli stavano facendo girare la testa. Il profumo della pelle di Faith, il contatto con la sua bocca carnosa…e tutto il resto. Sentiva il suo respiro, il petto che si sollevava e abbassava sempre più lentamente. Sentiva che si stava calmando, aveva capito. Ma c’era qualcos’altro. Lo percepiva chiaramente. Era eccitazione. E non solo la sua. Il suo volto sfiorava il collo della ragazza, e i pensieri vagavano senza meta sul solito argomento. Morderla. Assaporare quel sangue. Come lei aveva predetto la sera prima, in palestra. Ma anche baciarla. Quella bocca piena, a contatto con la sua mano. Cercò di concentrarsi sui rumori che provenivano dall’esterno. Le voci erano vicinissime. Il rumore del caricatore. Spari. E la sua pelle che si lacerava ancora. Sentì lo spavento di lei, ma riuscì a rimanere immobile, a bloccarla con più forza. Il dolore esplose profondo e pulsante, mentre riusciva a sentire le voci che si allontanavano, finalmente. E poi il silenzio. E il crollo sul pavimento. Faith che si precipitava a soccorrerlo una volta ancora. Il suo viso così vicino, così preoccupato. L’ultima immagine prima di perdere i sensi.

Quando si riprese tardò a capire in che posto si ritrovava. Letto. Dolore. Un bruciore sottile alla schiena. Era sdraiato a pancia in giù e nudo sotto il piumone. Continuava a rimanere immobile per cercare di mettere a fuoco gli ultimi ricordi. Scorse una figura accanto a sé. Il suo respiro, il movimento ritmico di un essere umano. I capelli neri sparsi sul cuscino. Il viso quasi del tutto coperto, e la sua bocca inconfondibile. La stanza era buia, per quel che poteva vedere, ma allo stesso tempo doveva essere giorno. Dalla finestra filtravano alcuni raggi che davano un’atmosfera irreale a quel luogo. Sentì bussare alla porta. Cercò di alzarsi, ma una fitta più forte lo fece desistere. Vide gli occhi della ragazza aprirsi per precipitarsi fuori dal letto.

“Buongiorno Anya.”
“Non è un buon giorno. Quindi piantala di fare la gentile.”
“Luna storta, eh?”
“E indovina di chi è la colpa? Ti avevo detto di stargli lontano. E invece lo butti giù dal letto alle tre del mattino, di corsa. Come dovrei sentirmi?”
“Non lo so…ma sono sicura che me lo confiderai tra poco.”
“Sei una serpe. E io che ho sacrificato il mio prezioso tempo libero per aiutarti…”
“Ora mi hai proprio rotto i coglioni. L’ho svegliato perché è l’unico con la macchina, ed ero a tre chilometri dall’albergo. Perché Spike era ferito. Credi che mi sia divertita?”
“Potevi chiamare un taxi. Tanto cosa cambiava per te?”
“Bella mia, e come lo spiegavo? Quello non respira, due buchi di pallottola conficcati nella schiena…beh, in effetti…dici che mi avrebbe portato in ospedale o alla polizia? Vuoi capire che non me ne frega niente di Xander? Avevo bisogno di una mano, tutto qua. Puoi tenertelo, il tuo moccioso…”
“Tu sei solo invidiosa. Perché non puoi più averlo. Perché non hai nessuno da spupazzarti.”
“Cara mia, di meglio lo trovo ad ogni angolo. E poi che diavolo ci trovi in quello stoccafisso? Nel mio letto c’è qualcuno che sicuramente vale mille volte più di lui.”
“Sempre ad elemosinare gli scarti di Buffy, eh? Ma tra un po’ la pacchia sarà finita. vedrai. Tutto tornerà al suo posto.” La ragazza gettò una sacca ai piedi della cacciatrice, per poi girare le spalle ed andarsene. Faith rimase a guardarla mentre saliva in macchina. Xander era alla guida, e si teneva la testa. Accennò un saluto verso la sua direzione, e lei ricambiò. Raccolse la borsa e chiuse la porta.
Accese la luce del tavolino. Si sedette su una sedia e rimase immobile.
“Il mostro è andato via?”
“Sì, scarto di Buffy. Ha portato le provviste. Se ti senti meglio puoi fare colazione.” Aprì la sacca, togliendo fuori una bottiglia in plastica dal contenuto inconfondibile. C’erano anche dei vestiti e un quaderno.
“Carino il nomignolo. Quella ha più di mille anni e non ha ancora imparato a stare al mondo.” Spike si sedette sul letto, con una smorfia di dolore. Faith sorrise, ma aveva gli occhi lucidi.
“Ho capito come sono arrivato qua. Ma mi sono perso qualcos’altro? Com’è che sono nudo?”
“Oh, bella. Sei tu che non usi né mutande né boxer. I pantaloni che avevi erano un lago di sangue. Mica ti potevo coricare con quei cosi addosso…”
“Ah. Mi hai spogliato tu?”
“Ti vergogni? Non sei il primo uomo che vedo nudo. Forse il primo vampiro…ma non fa molta differenza, credo.”
“Di bene in meglio. E…tanto per sapere, perché sono finito qua e non nella mia accogliente cripta?”
“Vedi un po’ tu…quelli ti avevano visto. E probabilmente riconosciuto. Sei un vampiro abbastanza famoso, quanto ci voleva per loro scoprire la tua tana? Di me invece non sapevano neanche l’esistenza, ho cambiato albergo tre volte nell’ultimo mese e tanto per cambiare, per entrare qua ci vuole un invito. Da te, no.”
“Mmmm, sei furba, ragazza.” Faith si avvicinò, per sedersi accanto a lui, sul letto. Controllò la schiena accuratamente, poi sorrise.
“Tra un po’ sarai come nuovo. Ti è andata bene. Se avessero beccato la spina dorsale…”
“…sarei tornato in sedia a rotelle per un mesetto.”
“Già. Angel mi ha detto anche dove è posteggiata quella che avevi un tempo, pensa tu…”
“L’hai chiamato?”
“Certo. Ero preoccupata. Non rinvenivi in nessun modo. Mi hai spaventata.”
“Oh, si sarà fatto quattro risate. Ma forse adesso mi considererà un po’ di più, ho salvato la sua protetta…”
“Che ti importa? Un giorno mi spiegherai perché lo odi così tanto.”
“E’ una lunga storia.”
“Grazie per ieri. Avevi previsto quegli spari? Per quello mi hai fatto da scudo?”
“No. Volevo solo saltarti addosso, come scusa non era male.” Faith rise di gusto, mentre Spike rimaneva quasi serio.
“Non mi credi?” lei non rispose, continuando a ridere. Si avvicinò al suo viso, accarezzando la nuca e guardandolo negli occhi.
“Beh, comunque grazie.” Faith allontanò la mano, come se si fosse scottata. Si alzò e prese a camminare nervosamente. Guardava per terra. “Voglio andarmene, Spike. Sto impazzendo qua.”
“Per quello che ti ha detto Anya?”
“Non solo. Ma sto crollando un’altra volta. Mi sono dovuta trattenere. Pensavo ardentemente a come potevo farla fuori. In un attimo ho visto almeno cento modi per ucciderla in maniera cruenta.”
“Ah beh, ma quell’effetto lo fa a tutti, non ti preoccupare per così poco. Non dargliela vinta.”
“Il problema è che io posso farlo. Che ho sentito il sangue darmi alla testa, ho visto buio per un istante e stavo per allungare una mano. Ne sono capace. È la realtà.”
“No, non l’avresti fatto. Non ti conosco molto bene, ma non credo che…senti, vuoi un giro di chip?”
“Eh?”
“Dai, trova un modo per togliermelo e te lo presto…così risolvi i tuoi problemi di aggressività verso gli umani…funziona, te lo garantisco.”
“Oh, ma guarda…così faccio felice anche te…”
“E finalmente potrò morderti…starti vicino mi fa pensare male, credi che sia facile per me?” Faith riprese a ridere. Spike cercava di rimanere serio, ma fu contagiato.
“Ti adoro, Spike. Sei il mio uomo ideale. Comunque credevo che starmi vicino ti facesse pensare ad altro. O almeno, così sembrava dalla tua reazione di ieri in chiesa…”
“Che…vuoi dire?”
“Ma, non so…cosa avevi in tasca?” Fece appena in tempo a scostarsi, che un posacenere piuttosto pesante volò verso la sua direzione, per andare a frantumarsi sul muro di fronte. La ragazza guardò i pezzi sparsi sul pavimento, mentre Spike si accendeva una sigaretta, come se non avesse fatto niente.
“La mia reazione era esattamente uguale alla tua, tesoro, anche tu eri eccitata.”
“Può darsi…ma cosa c’entra il portacenere? Dovrò rimborsarlo all’albergo.”
“A volte la mano è più veloce della lingua…” Sentirono bussare. Faith si avvicinò guardinga alla porta, aprendola piano.
“Scusi, signorina, ho sentito un rumore…sta bene?”
“Oh si, mi scusi…sa, devo avere la tv troppo alta…mi spiace…”
“Non importa…sa questa è una città un po’…particolare, e le aggressioni sono all’ordine del giorno…”
“No, no…non si preoccupi, va tutto bene. Grazie per l’interessamento, mi fa piacere che ci sia qualcuno che controlli la situazione qui in giro.” Quando chiuse la porta cercò di non ridere. Vide Spike in piedi, con il lenzuolo arrotolato, messo in modo da coprire le zone strategiche.
“E tu dove stai andando?”
“A prendere un po’ di sole, naturalmente. Vorrei fare una doccia.” Faith si avvicinò al vampiro, impedendogli di aprire la porta del bagno.
“Forse è meglio che aspetti un po’. Fammi chiudere la finestra, prima…”
“Sei piena di attenzioni, signorina…potrei veramente pensar male…” Lei sorrise apertamente. Guardò Spike negli occhi per una frazione di secondo. Poi si mise in punta dei piedi, e raggiunse la sua bocca. Era fresca e umida, e non respinse il suo bacio. Inizialmente fu delicato, dolce. Ma in pochissimi istanti si trasformò in qualcosa di diverso. Lui mollò il lenzuolo, che cadde ai loro piedi, ed iniziò ad accarezzarle il viso, i capelli, spingendola leggermente verso la porta. Faith sentiva il contatto con la sua pelle nuda, e si sentì avvampare. Fu lui a fermarsi e a guardarla un attimo, come se si rendesse conto in quell’istante di quello che era successo. Attimi, minuti. Tutto relativo e sfumato.
“Questo…è il pagamento del pedaggio per una doccia.” Sorrideva ancora pronunciando quelle parole. Cercava di sdrammatizzare, ma le idee si confondevano e galleggiavano negli occhi chiari del vampiro.
“Bene. Allora devo ancora pagarti il letto.” Questa volta fu lui a baciarla, diventando sempre più audace e sensuale, sfiorando la pelle della ragazza, percorsa da brividi incontrollabili. Lo spinse via delicatamente.
“O-okay…debiti saldati. Ora è meglio se vado a chiudere questa finestra. magari…non so…che ne dici di coprirti?” Lei raccolse il lenzuolo, porgendoglielo.
“Perché, tanto non mi hai già visto nudo?”
“Beh, non così. In realtà no. Ho mentito. È stato Xander a spogliarti.” Lui prese il lenzuolo, sorridendo.
“Tutte queste provocazioni finiranno per scottarti, Faith.”
“Mi piace il caldo, non preoccuparti.”
“Allora sbagli a baciare un vampiro.”
“Mi piace anche sperimentare…” Sgusciò dentro il bagno, chiudendo rapidamente la porta dietro di sé.
Chiuse le imposte e accese la luce dello specchio. Osservò il suo volto riflesso e l’espressione stupita che aveva. Aprì l’acqua e si bagnò abbondantemente il viso, prima di prendere fiato ed uscire.
Spike era nuovamente seduto sopra il letto, che guardava gli abiti che gli aveva portato Anya. Alzò lo sguardo verso la ragazza.
“Faith…” Lei fece segno di far silenzio. Lui ubbidì senza fiatare, dirigendosi verso il bagno, coprendosi con gli abiti puliti. Lei lo osservò di sfuggita, facendo finta di risistemare il letto. Poi si fermò non appena sentì la porta chiudersi. Rimase immobile. Ascoltò il rumore dell’acqua che scendeva. Si sedette su una poltrona, con le mani che le coprivano il viso. Le sembrava ancora di sentire quelle labbra sulla sua pelle. Non riusciva a focalizzare come fosse successo. Era tutto uno scherzo, era tutto un gioco…era tremendamente sola in quella città. E Spike era l’unico che le avesse offerto una mano. Non doveva fare come al solito. Attaccarsi alle persone che le dimostravano un po’ di interesse. Ricordava le parole dello psicologo del carcere. Doveva trovare la sua strada, la fiducia in sé stessa. Non partire in quarta, come sempre. Perché Spike? Aveva a che fare con Angel? Erano tutti e due dei vampiri. Stavo sostituendo l’uno con l’altro? Scarto di Buffy. Rise di se stessa. Parlava peggio di quell’accidente di strizzacervelli. Che doveva per forza trovarci qualcosa di losco dietro ogni sua parola. In fondo era solo un bacio. Era attrazione fisica. Lui era tremendamente interessante. E mezzo nudo. Aveva sbirciato, quando era svenuto. L’aveva guardato a lungo. L’aveva desiderato. Si infiammava facilmente, lei. Era sempre stata così. Ed era anche curiosa. Voleva sapere quanto poteva essere fredda la pelle di un vampiro. Il suo corpo. La sua bocca. Scosse la testa. Prese il quaderno che le aveva portato Anya, cercando di immergersi nella lettura della traduzione del fantomatico libro. Avrebbe fatto finta di niente. evitare l’argomento. Appoggiò quelle pagine sulle ginocchia. Cosa stava pensando lui in quel momento?

Spike era sotto l’acqua. I palmi delle mani rivolti verso il muro. La schiena che bruciava ancora un po’, ma quasi non se ne accorgeva. Lei l’aveva baciato. Senza nessun segnale serio. Scherzi. Scherzavano, prima, no? La notte, in chiesa. Quando aveva pensato ardentemente a quella bocca…non avrebbe mai creduto che…non così presto…assaggiarla. Tremendamente calda, piena, morbida. Come quei capelli lunghissimi. Prese lo shampoo e ne aspirò il profumo a lungo. Aprì gli occhi, per darsi dello stupido. Tanto lei scherzava. Scherzava sempre. E lui? che gli era saltato in testa? Perché non l’aveva fermata subito? Era una ragazzina, nient’altro. Tolse del tutto l’acqua calda. Sorrise. Non importava, in fondo. Era stato piacevole. Ma adesso come si doveva comportare? Far finta di niente? Lei cosa si aspettava? Era ancora mattina. Doveva rimanere rinchiuso fino a sera inoltrata. Sicuramente ne avrebbero riparlato. Chiuse ancora gli occhi, mentre si sciacquava la schiuma dal viso. Uscì dalla doccia. Osservò tutte le boccette che c’erano in bagno. Niente profumi. Una semplice crema per il viso e una per il corpo. Trucco in abbondanza. Aprì il rossetto. Un leggerissimo odore di vaniglia. Quello della sua bocca. Che non era truccata quella mattina, ma che portava ancora le tracce di quel profumo. Si vestì. Ci mise ancora un po’ prima di uscire. Aveva quasi paura di affrontarla. Ma preparò il suo più bel sorriso.

Faith fissava la porta. Quando lui uscì sentì il suo battito cardiaco accelerare improvvisamente.
“Com’era la doccia?”
“Fredda. Utile.” Si sedette sul letto, lontano da lei. Aveva la bottiglia di sangue tra le mani. La aprì e iniziò a tracannare lunghi sorsi. Lei continuò a leggere un istante.
“Ho la traduzione.”
“Ah. E…perché gli serve ammazzarti? A parte il gusto di far fuori una cacciatrice, si intende…”
“Quello tu lo conosci bene, eh? Non si capisce…oddio, non c’è un motivo. È un rituale. Niente portali che si aprono, niente effetti collaterali…una specie di tradizione che portano avanti per secoli. Che porta fortuna, in pratica. Devono ammazzarmi e basta. Possibilmente prima di Natale. Quindi hanno due mesi di tempo. E sono tanti. Una marea. E di solito ci riescono.”
“Tutto qua?”
“Pare di sì.”
“Okay. Li affronteremo. Bisogna trovare il loro nascondiglio. Se sono in tanti avranno bisogno di un posto piuttosto spazioso, magari, visto che a loro piace tanto il fuoco si potrebbe…non so, dargli un’arrostita?” Spike si era avvicinato alla poltrona. Faith si era alzata e stava sulla difensiva.
“Che succede? Vogliamo parlarne?”
“Un gioco, no? Tutto un gioco. Piacevole ma un gioco.”
“Va bene. Chiamalo come ti pare.”
“Perché, cos’era per te?”
“Mi pare lo chiamino bacio. Caldo. Profondo. Spontaneo. Eccitante. Ma se vuoi chiamarlo gioco, non c’è problema.” sfacciato. Sicuro di sé. Lui la fissava, cercando di metterla in imbarazzo. Lei si sentiva confusa, ma sorrise ugualmente.
“In effetti non sei male.”
“Grazie. Anni di esperienza. E poi mi impegno sempre in tutto quello che faccio.”
“Buono a sapersi.” Faith si allontanò da Spike. Prese lo zainetto e se lo mise a tracolla.
“Dove vai?”
“Dovrei mangiare, mio caro. Fare un po’ di spesa. E ho bisogno di prendere un po’ d’aria e sole. Tu non scappi, vero?”
“Dove vuoi che vada? Almeno hai la tv via cavo...” Si era avvicinato, mentre lei teneva già una mano sulla maniglia, voltata verso la porta.
“Faith.” Lei si girò verso Spike, che era ormai ad un passo. Riprese a baciarla, come se niente fosse, tenendola per i fianchi, facendo scivolare le mani dietro la schiena. Lei rispose senza farsi pregare, immergendo le dita nei capelli ancora umidi.
“Stai finendo il bagno schiuma.” Lei annuì, staccandosi dal ragazzo.
“Per me questo gioco non è ancora finito, cacciatrice.”
“Vedremo.” Lei si risistemò i capelli, per poi uscire precipitosamente.