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E già

Guida all'ascolto del disco "E già". L'articolo è ripreso da Musikbox, l'autore è Antonello Bosso.

 

La notizia dello scioglimento della "magica coppia" è, ormai, di dominio pubblico, e non dico che da noi venga vissuta con lo stesso clima di sconcerto che accompagnò la fine dei Beatles, ma poco ci manca. E' quindi comprensibile come possa essere fremente l'attesa per l'uscita del primo album post-Mogol, annunciata per il settembre del 1982.

Che potesse trattarsi di un nuovo episodio di "rottura", come Amore e non amore e Anima latina, molti lo temevano, altri (pochi) lo auspicavano, quasi tutti lo preventivavano. E in effetti Lucio va avanti imperterrito per la sua strada, non si preoccupa minimamente di voler dimostrare che anche senza Mogol è in grado di dare alla gente quello che desidera, ma imbocca la nuova strada senza remore o dubbi. Certo è che E già colpisce non poco, perché al primo ascolto risulta essere un disco veramente impegnativo, non tanto per una complessa struttura, quanto per l'attenzione che richiede nell'ascolto, sempre concentrato ad attendere il pieno compimento delle linee melodiche, che ci sono, ma vengono continuamente strozzate e interrotte.

Ecco, per gustare al meglio le affascinanti peculiarità di quest'opera, bisogna rilassarsi e dimenticare il Battisti del passato, che pure è sempre presente, e farsi avvolgere da un'elettronica solo all'apparenza fredda e incomunicativa.

Se il lavoro precedente strabordava di musicisti, in questo l'elemento umano è ridotto all'osso. Lucio realizza i provini in casa sua, ma invece che portarli a Westley, che nel frattempo gli ha fatto lo "sgarbo" di dedicarsi a Baglioni, si rivolge al più tecnico Greg Walsh, ritenendolo anche più adatto a realizzare ciò che aveva in mente.

I testi delle canzoni (dodici in tutto, un numero esagerato per le produzioni Battisti) vengono firmati dalla moglie, Grazia Letizia Veronese, con lo pseudonimo di Velezia. Non credo si tratti di malignità, ma di logica spicciola, il pensare che il lavoro sulla liriche sia opera soprattutto dello stesso Lucio, sicuramente ben coadiuvato dalla sua signora, in quanto le parole esprimono veramente tutto il Battisti - pensiero di quel momento storico. Risulta anacronistico pensare che la signora si possa essere chiusa in qualche stanza della tenuta brianzola per stendere i testi senza che il marito intervenisse o ne sapesse qualcosa. Se si eccettua la presenza di Greg Walsh, il disco è veramente tutto fatto in casa, con la presenza alla parte tecnica del cognato Mario Veronese e i disegnini del figlio Luca Filippo.

Proprio la copertina risulta essere un elemento già molto suggestivo: innanzitutto riproduce l'ultima immagine fotografica della storia di Battisti, è l'ultima volta che l'artista si farà ritrarre volontariamente. In primo piano sul fronte compaiono i piedi calzanti delle belle (ma anche un po' rovinate) scarpe bianche, e, aprendo l'album, una bellissima foto in cinemascope, che ritrae Lucio di spalle al centro di una grande spiaggia, chiusa tra ancora più suggestive scogliere (pare si tratti della costa a sud della Gran Bretagna), davanti ad uno specchio con un riflesso del sole che ne copre l'immagine frontale. Complimenti al fotografo!

Il disco sembra il trionfo dell'apparenza: apparente semplicità melodica, apparente elementarità sonora, apparente ingenuità testuale. Invece il tutto è quanto di più composto si possa trovare sul mercato, frutto di attenti studi e sforzi realizzativi di non poco conto. Registrato sempre a Londra, ma al Trident Studios (e in piccola parte anche presso gli studi della RCA di Roma), il disco anticipa di poco l'era informatica.

Grazie all'uso di sofisticate tastiere elettroniche e modernissimi sintetizzatori (il computer non ha ancora fatto il suo trionfale ingresso in sala), i suoni risultano veramente avanti di molti anni sui tempi, quasi che gli autori fossero già pienamente calati in una dimensione che da lì a qualche anno di distanza diventerà realtà.

Le canzoni, come detto, sono in numero superiore agli standard passati, ma brevi, a volte simili a flash interrotti repentinamente e apparentemente (ritorna la fiera dell'apparenza) senza motivo. Scrivi il tuo nome sottolinea subito l'entusiasmo del nuovo corso ("...bella giornata è questa qua / l'aria più fresca ti esalta già / il momento migliore per cominciare un'altra vita un altro stile..."), mentre Mistero pone la classica (e anche un po' impietosa) pietra sul passato ("...io mi ero lasciato entusiasmare da quel tipo intellettuale appariscente / che in fondo in fondo non valeva niente / una cosa che non so capire davvero..."). Le parole vengono scandite perfettamente, ed anche l'apparato sonoro sembra quasi voler esaltare e ulteriormente sottolineare il valore del cantato. Un'operazione, questa, in netta antitesi con quella, ad esempio, di Anima latina.

Con Windsurf windsurf si toccano temi più leggeri ed evasivi, andando a sublimare una grande passione sportiva (condivisa con l'amico Adriano Pappalardo). Filosofia un po' spicciola e melodia poco avvolgente caratterizza due brani come Rilassati e ascolta e Non sei più solo, mentre i toni si risollevano subito con Straniero, una canzone molto legata agli standard strutturali del passato, ma qui proposta in una versione quasi "scheletrica", ma non per questo sgradevole.

Il secondo lato contiene i suoi momenti migliori, a partire da Registrazione, primo manifesto artistico - autobiografico del cantautore ("...ho sempre amato Jagger e gli Stones / i Beatles un po' meno, insieme ai Beach Boys / forse perché hanno il nome che comincia per B / da Paul Mc Cartney ho imparato a cantare / da Ray Charles ad emozionare / da Dylan a dire quello che mi pare e dal poeta ad alleviar l'umanità...chissà se è rock o no...").

Molto accattivante La tua felicità con un testo simpatico anche se a momenti un po' ovvio, e Hi-fi, anch'esso descrivente personalissime sensazioni. La melodia migliore però è affidata a Slow Motion che è, poi, anche il brano più lungo del disco. Il motivo si avvale di un testo permeato di un profondo etereo esistenzialismo, e risulta essere il più penalizzato dall'assenza di strumentisti un carne ed ossa, facendo solo scorgere tra le righe le sue enormi potenzialità.

Una montagna è solo un breve prologo ad E già, l'unico momento conciliativo con i nostalgici dell'era - Mogol. Qui l'elettronica non soffoca l'espansione e l'orecchiabilità dell'impianto melodico, dotato anche di una certa ritmica, scandita anche da un accordo cantato. Anche il testo risulta particolarmente acuto, puntando l'indice sulla vacuità della certezze precostituite.

In alcuni momenti sembra quasi che Lucio abbia voluto, con questo disco, regalare al pubblico un'autointervista in musica, lui che oramai con i giornalisti ha chiuso definitivamente ogni rapporto. E', comunque, un errore voler a tutti i costi catalogare le fasi creative di un artista come Lucio Battisti. Ogni sua espressione è il tassello di un mosaico stupendo, ed il fatto che a tesserlo pezzo per pezzo, con cura, sensibilità, passione, estro sia stato uno di noi, non può che riempirci di orgoglio e ammirazione.

"Credo di significare un fenomeno di professionalità: il proprio lavoro fatto nel migliore modo possibile. Questo ho insegnato a chi è più giovane di me: lavorare, lavorare e poi ancora lavorare. Io sono sempre quello che, ragazzo sconosciuto, se ne stava per ore a cercare motivi con la chitarra nelle camerette di pensione."

Sono queste le lezioni che dobbiamo assimilare e non dimenticare...Mai!

 

Alcune note

Il brano più lungo del disco non è "Slow Motion" (3:56) bensì "Straniero" (4:41). Inoltre "Una montagna" (il presunto breve prologo di "E già") dura 3:41, mentre la stessa "E già" 2:56.