Il
commento di Mario Bonatti
Nell'anno
di grazia 1971, il 33 giri è detto soprattutto, oltre
che nella dizione ortodossa di Long Playing, anche
"disco grande", un boccone ghiotto per
appassionati, insomma. Del resto, il mercato era
piuttosto ridotto rispetto a quanto lo sarebbe stato
già di lì a cinque - sei anni (probabilmente in virtù
delle radio private). Scorrendo la classifica dei
singoli, poco meno della metà poteva vantare un album
corrispondente nella chart degli album dello stesso
periodo, e quasi mai gli album avevano un singolo a
rappresentarli nelle medesime posizioni. Anche perché erano molto più
ristretti i generi e gli artisti che investivano su
questo formato, e di conseguenza anche le major ci
pensavano bene prima di produrre dieci o dodici pezzi
tutti in una volta. Ecco perché nelle classifiche che
ci sono state tramandate (anche queste molto ridotte),
troviamo un gruppo molto ridotti di interpreti e di
generi: attraverso questi diamo una scorsa alla tabella.
Comanda
Charles Aznavour, proveniente dall'industria discografia
francese, già avanti come mentalità. Il suo album non
fa che tradurre i suoi successi d'oltralpe, grazie alla
penna del fido paroliere Calabrese e del gusto
"esotico" che colpiva il target
dell'acquirente medio di 33 giri, ancora piuttosto
adulto. Lo chansonnier di origine armena, è presente
anche con l'album "Morir d'amore" (27), oltre
all'omaggio rivoltogli dalla nostrana Iva Zanicchi che
canta sue canzoni in un album (31). L'album leader
racchiude non a caso i suoi pezzi da novanta: dal suo
manifesto "L'istrione", al suo quadro
crepuscolare "Com'è triste Venezia", fino al
trionfo del tradimento e della gelosia, raccontato con
maestria e perfidia in "Ed io tra di voi" (in
francese con un titolo più significativo: "et moi
dans un coin", ed io in un angolo). Secondo posto
per Mina, pioniera degli album tra gli interpreti
nazionali. Già in quest'anno può permettersi una
raccolta "Del mio meglio" (prima di una lunga
serie), con i successi pubblicati in precedenti album
dei primi anni PDU, compreso il più vicino e dello
stesso anno (in ottava posizione) che sceglie come
titolo: "Quando tu mi spiavi in cima a un
batticuore". L'antologia contiene in facciata A un
collage dal vivo che parte con Battisti
("Io vivrò senza te") e chiude con Battisti
legando gli applausi con l'inizio di "Io e te da
soli", passando per Tenco, Beatles e "La voce
del silenzio", nel confronto con Dionne Warwick che
la cantò a Sanremo. La facciata B è un concentrato di
evergreens, tra cui spicca "Bugiardo e
incosciente" di sei minuti e mezzo, scritta da
Paolo Limiti e lanciata arditamente come singolo,
malgrado il registro confidenziale e la durata: "Io
la canto" disse Mina a Limiti "ma venderemo
due copie, una la compro io e una la compri tu".
L'altro album può dirsi di inediti, anche se non lo
saranno ancora in assoluto: la signora Mazzini di questi
tempi era solita ricantare pezzi già lanciati (oltre a
numerose cover) piuttosto che tenerli a battesimo ex
novo, pratica che andrà sviluppando più avanti fino a
pareggiare le due scelte artistiche nella ventennale
serie di album doppi (metà cover metà nuovi).
In
terza posizione ecco una delle numerose colonne sonore,
quasi tutte da film: primeggia nel settore "Anonimo
veneziano", sotto l'egida di Stelvio Cipriani:
segue "Love story" curata da Francis Lai con
inserti classici, piuttosto saccheggiati non solo nelle
idee per le melodie originali, ma anche presi in toto
per dare un tocco di classe in più al prodotto (film o
disco che sia, perché non sempre è il primo a
subordinare il secondo!). Nelle posizioni più basse ci
sono le musiche da "Sacco e Vanzetti" (18),
curati da un certo Morricone, "Morte a
Venezia" (dal capolavoro letterario di Thomass Mann
e cinematografico di Luchino Visconti) (33), interamente
classico, anzi romantico (Mahler, Beethoven, Mussorgsky),
oltre a "Borsalino" (50) firmato Claude
Bolling in piena atmosfera jazz degli anni 30 dove
operava il famoso gangster. Dischi di non facile
ascolto, in definitiva, ma in grado di fare bella mostra
vicino al giradischi di papà. Da segnalare anche "Jesus
Christ Superstar" (40), in una versione dissimile
da quella che conoscerà una stagione più felice tre
anni dopo quando l'opera teatrale diventerà film, e la
cui colonna sonora toccherà il primo posto divenendo la
versione tramandata ai giorni nostri.
Prima
di arrivare a Battisti, la quarta posizione è occupata
dal gruppo rock country Creedence Clearwater Revival con
"Pendulum" (tra i brani "Hey tonight"
e "Have you ever seen the rain?"). Se la
musica discendente del western è ben rappresentata con
il terzetto di country puro Crosby Still & Nash
uniti a filo doppio con Neil Young e l'acustico James
Taylor, numerosa è anche la schiera dei gruppi
internazionali presenti nelle charts; la maggior parte
sono di hard rock e di progressive, genere i cui
esponenti "inventeranno" i dischi dal vivo
come valido evento discografico, e che poi coinvolgerà
con successo anche band italiane (come vedremo). Dunque
troviamo, nel genere canonico, i Deep Purple
(tredicesimi con il loro disco culto "Fireball"),
Ten Years After, gli inossidabili Rolling Stones,
l'onnipresente Bob Dylan (ma farà maggior fortuna tra
qualche anno), Black Sabbath, i più soft Chicago
(storici i loro primi album, tutti intitolati in numeri
ordinali), Uriah Heep, Osibisa, Nice, l'eclettico
scatenato Frank Zappa, fino a includere anche il
progetto Jimi Hendrix Experience, incentrato sulle
performance del più grande virtuoso di chitarra mai
esistito. Meglio di tutti in termini di presa sul
pubblico, saprà fare Santana (quattordicesimo con
"Abraxas", dominatore delle charts per
l'intero decennio), ma allargando di molto la sua
ricerca musicale e rendendola quindi molto meno
"rumorosa". Nell'ambito del rock sinfonico
svettano su tutti Emerson Lake & Palmer (dodicesimi
con "Tarkus"), seguiti dai Jethro Tull
(quindicesimi con "Aqualung"); quindi gli
ancora emergenti Pink Floyd, prossimo anello di
congiunzione con un pop più accessibile ma non meno
psichedelico, fino ai Colosseum e ai gruppi italiani,
tutti alle prime armi: Le Orme, i napoletani Osanna, la
più accessibile Formula Tre, fino al disco evento
firmato New Trolls. Il loro "Concerto grosso",
musicato da Luis Enrique Bacalov figura in nona
posizione ed è un incontro di rara armonia tra le
istanze sinfoniche (i quattro movimenti in cui è
suddiviso), le architetture vocali delle avanguardie
(gli inserti cantati ivi inseriti), le partiture
orchestrali, che apparentano il rock agli stilemi di
certa musica rinascimentale e barocca (dall'omaggio a
Hendrix alla citazione dell'Amleto shakespeariano), fino
allo sperimentalismo della musica contemporanea,
celebrato nella facciata B intitolata "Nella sala
vuota improvvisazioni dei New Trolls registrate in
diretta" (anche un certo Battiato ha cominciato nel
1971 così a costruire il suo genio, ma se nessuno si
accorse del suo "Fetus", non passerà
inosservato il seguente "Pollution" del 1972).
E
veniamo a Lucio Battisti, la cui presenza si risolve
molto semplicemente nei suoi due album, presenti rispettivamente nelle posizioni
quinta e sesta. "Emozioni" raccoglie la
maggior parte dei singoli pubblicati fino ad allora con
la Ricordi, quale summa dei suoi esordi, che fanno sia
da premessa ai suoi percorsi futuri, sviscerati sotto
forma di Album, sia da autonomo periodo artistico, ricco
di reminescenza r&b, blues, jazz, ed echi epigoni di
beat. Tutto questo nei suoi classici per eccellenza che
culminano in "Mi ritorni in mente", "Il
tempo di morire", la psichedelica "Non è
Francesca", la pluridecorata "Acqua azzurra
acqua chiara", fino a "Anna" e la stessa
"Emozioni", uscite come singoli insieme alla
raccolta. Un artista che ha suscitato una mole di
consensi tra pubblico e critica, al punto da trovare
senza problemi il successo commerciale anche con il suo
primo album concettualmente inteso, questo "Amore e
non amore", dall'ascolto tutt'altro che facile, di
chiara matrice r&b, grezzo nei suoni di chitarra,
anarchico nell'impostazione vocale, audace nei temi,
sperimentale nella durata dei pezzi, spiazzante nella
sua "'scenografia", sia dalla copertina che
ritrae una donna senza veli, ai titoli
chilometrici dei quattro pezzi strumentali, che affondano
nelle avanguardie musicali più colte (una sorta di
Luigi Nono sapientemente miscelato con le innovazioni
postbeatlesiane d'oltremanica). Tutto questo senza però
intaccare la sua popolarità, che poi saprà progredire
attraverso soluzioni meno ardite ma non per questo
compromissorie, nei successi che conosciamo.
Nel
1971 i cantautori della seconda generazione ancora non
erano sulla breccia, se non addirittura nati. Tra quelli
della prima, il solo Gino Paoli (presente al n. 46 con
un suo album) tiene i contatti con un vasto pubblico.
Fabrizio De André è tra i primi a realizzare concept
album sin dal 1968: "La buona novella", è
dunque una conferma del suo valore, sia culturale (la
storia di Gesù e Maria riletta attraverso i vangeli
apocrifi), sia musicale (l'orchestrazione di Reverberi e
una tavolozza multicolore che alterna atmosfere sacrali
a ritmi popolari e talvolta popolareschi). Questo in
sintesi l'album capolavoro che sosta nella posizione n.
10 della classifica annuale 1971. Ultima citazione per
Ornella Vanoni, undicesima con uno dei primi recital dal
vivo tratto dalla sua tournée teatrale e intitolato
"Ah l'amore l'amore quante cose fa fare
l'amore". La cantate milanese dimostra, oltre a una
sana concorrenza artistica con Mina, che anche senza
strafare con le apparizioni televisive, che per Mina
erano il motore del suo successo, si può tuttavia
raggiungere i gusti del pubblico. A questo si aggiunge
una scelta del repertorio più orientata verso la moda
francese e brasiliana, quindi tendezialmente esotica,
come la sua voce calda e sensuale poteva suggerirle,
oppure dialettale, come testimonia la riproposizione
delle "canzoni della mala" dei suoi esordi
teatrali col maestro Strehler. Più immediato invece
l'altro album "Appuntamento con Ornella Vanoni",
raccolta di successi televisivi e sanremesi. Ma il
fenomeno Mina e Ornella è solo una parte della ricca
schiera di interpreti presenti nella classifica e sul
mercato, la quale andrà scomparendo con il progredire
della colonia cantautoriale. Cantautori che naturalmente
a volte compaiono tra gli autori dei dischi di questi
cantanti: a cominciare da Patty Pravo ("Di vero in
fondo" e "Bravo Pravo"), Iva Zanicchi
(l'album su Aznavour di cui abbiamo detto), e negli anni
seguenti anche Mia Martini. Discorso differente per
Gigliola Cinquetti ("Cantando con gli amici")
e Gabriella Ferri ("Lassatece passa'"), con
un repertorio folk, lombardo-padano per l'una, romanesco
per l'altra. Quanto agli interpreti maschili, c'è
spazio per Massimo Ranieri, fresco vincitore di
Canzonissima, Gianni Morandi, che vanta già il suo
settimo album, Peppino Di Capri, che rilegge la
tradizione napoletana, la cui musica è sempre foriera
di un largo seguito di pubblico, e il messicano José
Feliciano, che ha trovato fortuna in Italia con la
sanremese "Che sarà" e ne ha colto
l'occasione per ricantare i classici internazionali del
momento.
La
classifica dei più veduti è così definita. A
completarne il quadro vanno menzionati alcuni artisti
inglesi: a cominciare dagli ex - Beatles, fino a Tom Jones,
i Moody Blues, il principe del soul James Brown, Steve
Winwood, Rod Stewart, i Grand Funk Railroad e il gruppo
pop T.Rex. Altro fenomeno in crescita, quello dei
session men, con album interamente strumentali, che
accontentavano chi cercava solo le melodie da
fischiettare piuttosto dei dischi originali. Nel 1971
fanno la loro apparizione Santo & Johnny e Fausto
Papetti (che conoscerà le prime posizioni di qui a
qualche anno). Al n. 49 appaiono per la prima volta i
Pooh con "Opera prima" (anche se non è il
loro primo disco!): album crocevia tra il beat e la loro
melodia che costituirà il loro marchio di fabbrica, da
riscoprire. Detto anche di un disco di musica classica
(un concerto di Paganini, ovviamente per violino), segnaliamo anche quattro
compilation, lontane anni luce da quelle modernamente
intese che fecero la loro prepotente apparizione nella
prima età degli anni 80. Ben lungi dal mischiare
artisti di diverse case discografiche, le raccolte
presenti in quest'annata sono: lo Zecchino d'Oro
(raccolta di nome ma non di fatto), "Sanremo
1971" (con metà dei brani originali e metà no,
per le questioni legate appunto alle case di
appartenenza), e due dischi evento "on stage",
legati all'Atlanta pop festival e a Woodstock.
Una
classifica quindi molto composita, in grado di definire
un panorma musicale ancora variegato, ma di qualità, in
quanto un Long Playing di quei tempi era ancora sinonimo
di qualità, o quanto meno di "prima scelta"
all'interno del singolo genere che rappresentava.
|