"Giovanni Paolo II, il restauratore"

di Giulio Vittorangeli, da "Quelli che solidarietà, bollettino dell'associazione Italia-Nicaragua", N. 3/2005

Il papa Giovanni Paolo II, nel momento in cui scriviamo, si sta spegnendo lentamente. Difficile sintetizzare in poche righe un'esperienza estremamente complessa come il suo pontificato, dove convergono elementi molteplici e contrastanti. Lasciando da parte l'atteggiamento intransigente, di Wojtyla, in mate-ria di divorzio, aborto, ecc. (ma come dimenticare gli effetti catastrofici dell'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione, che provoca numerosi decessi in tutta l'Asia, l'Africa e l'America Latina, causa l'Aids) e soffermandoci sulle posizioni considerate come le più positive (i problemi della pace, la condan-na del razzismo, i richiami alla tragedia della fame e della povertà), queste sono state nella loro efficacia pratica limitate sia dalla palese sottovalutazione del carattere devastante della dominazione economica dell'Occidente sul cosiddetto Terzo Mondo, sia dall'appoggio dato, specie in America Latina, a regimi autoritari e violenti che si sono macchiati delle peggiori infamie.
Da più parti è stato sottolineato come il pontificato di Wojtyla si sia caratterizzato per l'impegno della pace. È stato così dagli anni '90: con la prima guerra del Golfo, quando si alza la denuncia coraggiosa nei confronti delle violenze giustiziere degli Usa. Di fronte a quelle famose incursioni di aerei e di carri armati, prendeva le distanze: non era quella la giustizia che poteva condurre ad una pace vera. Anche se va sottolineata l'assenza nelle sue parole di qualsiasi apprezzamento verso il grande movimento pacifista.
Precedentemente però, gli anni '80 (il tempo della guerra fredda), sono caratterizzati dai suoi viaggi fallimentari in America Latina. Cile, 1987: l'immagine più viva di quella visita fu l'apparizione del dittatore Pinochet e del pontefice, insieme alla finestra del palazzo della Moneda. Nicaragua, 1983: il papa rimprovera pubblicamente padre Ernesto Cardenal, che ha accettato di entrare a far parte del governo sandinista (finirà sospeso a divinis); alla Santa Messa, zittisce (dopo aver provato ad ignorarle) le madri degli uccisi dalla contras (guerriglieri antisandinisti sostenuti dalla CIA), che invocavano una preghiera per i propri figli. Del resto, nel giugno 1982, aveva scritto ai Vescovi del piccolo paese centroamericano, per condannare la "Chiesa popolare", quella dei poveri, collegata alle comunità di base ed espressione della Teologia della Liberazione.
Nel 1984 e nel 1986, la Congregazione per la Dottrina della Fede emette due documenti Libertatis nun-tius e Libertatis conscientia, nei quali si condanna la Teologia della Liberazione. Tutti i programmi di studio delle facoltà e dei seminari sono riprogrammati contro questa Teologia e contro lo Spirito della riforma della Chiesa inaugurata con il Concilio Vaticano II. L'Opus Dei ed altri movimenti similari assumo una leadership speciale nella Chiesa; con la loro opzione preferenziale per le élite economiche e politiche del mondo ricco, impongono un modello di cristianità articolato sulla relazione Chiesa-Potere.
Intanto tutta l'America Latina è attraversata da una marea di crimini e da un oceano di complici silenzi. Migliaia di vittime: preti, suore, catechisti, missionari, sindacalisti, contadini, donne, bambini, vecchi, massacrati prima e dopo l'arcivescovo martire di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, tranne (ironia della sorte) in Nicaragua durante i dieci anni del governo sandinista. Silenzio totale delle gerarchie cattoliche, salvo la voce dei Vescovi del Nicaragua nel denunciare una persecuzione religiosa ed una violazione dei diritti umani, inesistenti in quel Paese. La spiegazione è legata alla lotta condotta da Wojtyla e la curia romana alla Teologia della Liberazione; una delle teologie più significative del Sud del mondo. Il fine è quello di liquidare e togliere legittimità a quella riflessione liberante: la scelta preferenziale per i poveri, al fianco dei quali i cristiani devono collocarsi se intendono proclamare le esigenze centrali del Vangelo. La pesante normalizzazione porta all'emarginazione dei vescovi che si riconoscevano nella linea di Medellìn (1968) e Puebla (1979); allo smantellamento del loro lavoro pastorale. Così la Chiesa innovatrice e critica è stata esplicitamente emarginata e condannata da Giovanni Paolo II, le cui molte parole in favore degli umiliati e offesi non hanno mai invitato alla propria liberazione e autogoverno, sempre e soltanto monito alle autorità politiche e economiche di essere più giuste e clementi. Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino, simbolo della caduta dei socialismi e della fine della guerra fredda. Si impone l'egemonia totale dell'economia di mercato e della globalizzazione di ispirazione neoliberista. Il papa condanna gli aspetti più distruttivi e violenti del capitalismo liberista; ma mai una parola per valorizzare i movimenti che dal basso e in autonomia dai potenti puntano a una società liberata dal capitalismo liberista. Possiamo davvero dire che con il pontificato di Giovanni Paolo II scompare la riforma del Concilio Vaticano II e ricompare il modello di Chiesa anteriore costruito dal Concilio di Trento (1545-1563). Un tempo fortemente segnato dalla controriforma ecclesiale.