Grillo e “MoVimento5stelle”: tra ribellione, conformismo e modernizzazione...

Michele Terra, "Giornale comunista dei lavoratori", settembre 2010


Nelle elezioni amministrative del 2009 e nelle regionali di quest'anno in tanti a sinistra hanno avuto la tentazione di votare per le liste di Beppe Grillo, il cosiddetto MoVimento 5 stelle (V è per il vaffa, le 5 stelle per la classificazione alberghiera), in molti lo hanno fatto. Forse ancora attratti dalla nomea di personaggio antisistema, forse perché ancora memori delle battaglie contro i grandi potentati economici (banche, Telecom, Parmalat, ecc), di cui però negli ultimi periodi non vi è più traccia nel movimento grillino.
Ma c'entra qualcosa Grillo con la sinistra, con i comunisti, con la “lotta al sistema”? Poco, molto poco, vediamo nel dettaglio perché.
Grillo e gli esponenti più in vista del suo movimento non si definiscono né di destra né di sinistra, cosa di per sé già sospetta, ma se va bene non schierarsi nello scontro tra PdL e PD meno L, per dirla con parole loro, di certo non si può assumere un agnosticismo ideologico assoluto come riferimento. Tanto meno si può fare politica evitando di schierarsi nelle dinamiche concrete della lotta tra le classi, salvo, nei fatti, accettare lo status quo economico e sociale. E', quindi, pienamente all'interno dei confini del sistema capitalistico che il MoVimento si pone, proponendo al massimo, parole dello stesso Grillo, “un po' di socialdemocrazia”.
Un elemento chiarificatore lo ha posto proprio lo stesso Beppe Grillo in un intervista all'Unità il 3 agosto scorso: “Dico sì al governo tecnico magari a guida Montezemolo”. Da che parte sta non si poteva dire in maniera più chiara.
Tra i grillini si trova poi di tutto. Sul numero 5/2010 della rivista Micromega troviamo un articolo di Stefano Milani che, tramite citazioni dal blog e dai siti grillini, rileva come tra i sostenitori dell'organizzazione vi siano ex leghisti, fascisti non pentiti, dipietristi delusi passati da Bossi prima di approdare al MoVimento.

Antipolitica o antipolitici
La stessa definizione di “antipolitica”, giustamente rifiutata da Grillo, è fuorviante: un'invenzione giornalistica senza senso. Correttamente bisognerebbe parlare di “movimento antipolitici”: è contro la burocrazia politica presente, ed i suoi privilegi economici, che il MoVimento si batte, non contro il sistema in quanto tale.
Non a caso il principale bersaglio dei grillini sono i “costi della politica”, intesi come i megastipendi di parlamentari, consiglieri regionali, sindaci di grandi città, nonché i rimborsi elettorali ai partiti (l''ex finanziamento pubblico, abolito per referendum e reintrodotto cambiandogli nome). Scalpore ha fatto la scelta, annunciata, di rinunciare ai rimborsi elettorali nelle due Regioni (Emilia-Romagna e Piemonte) dove il MoVimento ha eletto consiglieri. Mentre sull'autoriduzione dello stipendio degli eletti, per adesso, si sono avute dichiarazioni ma non è ben chiaro se e come avverrà, e soprattutto quale sia la soglia di stipendio che si pongono i politici grillini. Il leader grillino emiliano Favia prima ha parlato di 1.400 euro, poi, una volta eletto, pare abbia alzato l'asticella a 2.000, per devolvere il resto al MoVimento, come se anche questa non fosse una forma di finanziamento alle organizzazioni politiche mediante denaro pubblico.
Per un'organizzazione che ha basato tutto il suo successo sulla rete vi è un'attenzione quasi maniacale alla cosiddetta democrazia telematica. La prima dichiarazione televisiva del neoeletto consigliere regionale piemontese ha riguardato appunto la proposta di trasmettere via internet le sedute del consiglio regionale. Va bene, già le sedute sono pubbliche e non segrete, ma il nodo è quello che viene deciso (cioè le politiche antiproletarie di Pdl, Pd e C.), non la spettacolarizzazione dell'evento politico-decisionale. Tra l'altro una vera battaglia democratica dovrebbe riguardare, magari, la partecipazione popolare ai processi democratici e la riforma dei sistemi elettorali ultramaggioritari in senso proporzionale. Niente di rivoluzionario, solo poche norme “socialdemocratiche”.

Grillo e i migranti
C'è poi un argomento che Grillo e suoi non toccano quasi mai, quando lo fanno hanno decisamente posizioni para-leghiste: i migranti. Nei programmi elettorali delle liste a 5 stelle non si parla mai di diritti dei migranti, al massimo li si collega al problema “sicurezza”.
Fu lo stesso Grillo sul suo blog un paio di anni fa – governo Prodi – a dare la linea: ”Un Paese non può vivere al di sopra dei propri mezzi. Un Paese non può scaricare sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di rom della Romania che arrivano in Italia. (...) Ma cosa vuol dire Europa? Migrazioni selvagge di persone senza lavoro da un Paese all'altro? Senza la conoscenza della lingua, senza possibilità di accoglienza? Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom. E' un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Si poteva fare una moratoria per la Romania, è stata applicata in altri Paesi europei. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto nulla.
Un governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa?
Chi paga per questa insicurezza sono i più deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari.
Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati.”. La citazione forse è un po' lunga ma rende l'idea di come Maroni e Sarkozy possano contare sull'appoggio del comico genovese.

Il “grillismo reale”
Alle elezioni regionali di marzo le liste a 5 stelle, presenti in 5 regioni, hanno ottenuto circa mezzo milione di voti, andando dall'1,3% della Campania all'oltre 7% dell'Emilia-Romagna. Stranamente i grillini non si sono presentati, probabilmente per scontri interni, nella terra madre del capo: la Liguria.
Il volto del “grillismo reale” è ben diverso da quello come si vorrebbe raffigurato, almeno là dove – in Emilia – ha un consenso tale da spostare decine di migliaia di voti ed eleggere consiglieri regionali.Il leader bolognese del MoVimento, il 28enne Giovanni Favia già consigliere a Bologna, per essere sicuro dell'elezione era, oltre che candidato presidente, anche capolista nelle circoscrizioni di Bologna, Modena e Parma. Per convincere gli elettori a dare la preferenza a Favia, in campagna elettorale il MoVimento distribuiva volantini sparando la cazzata colossale che per validare il voto era necessario dare sul proporzionale la preferenza al candidato presidente. Come nel Prc quando Bertinotti era capolista in più circoscrizioni, ove veniva eletto, e poteva scegliere a chi lasciare il posto, così è avvenuto nei 5 stelle con la contestuale elezione di Favia nella circoscrizione di Bologna e in quella di Modena. Pur di far entrare in consiglio il proprio sodale primo dei non eletti a Bologna Favia, dopo un'assemblea degna delle vecchie polemiche democristiane, ha optato per il seggio di Modena, trombando la candidata locale che, tra l'altro, aveva ottenuto molte più preferenze del secondo della lista bolognese.
Appena entrato in Regione Favia si è scagliato, giustamente, contro l'inutile commissione statuto, a suo dire da abrogare. Qualche settimana dopo lo stesso Favia ha accettato di essere eletto presidente della commissione che voleva abolire. Possiamo supporre che nel cambio di posizione qualche influenza l'abbia avuta l'aumento dell'indennità (lo stipendio) percepita ed i 150.000 euro annui per dipendenti, spese di segreteria e rappresentanza.
Dopo le dimissioni del sindaco Pd Delbono il Comune di Bologna è retto da una commissaria prefettizia, che recentemente ha emesso la delibera per regolamentare le nomine spettanti nelle aziende partecipate. Il grillino Favia, ex consigliere di opposizione a Delbono, ha lanciato una nota stampa in cui magnificava la nuova delibera, perché, a suo dire, finalmente metteva nell'angolo le nomine politiche. Peccato che un giornalista de l'Informazione di Bologna abbia rilevato che la delibera era la stessa della giunta Delbono, precedentemente di quella Cofferati, semplicemente rinnovata dalla commissaria. Insomma, quando Grillo parla di un movimento di gente competente comincerei a diffidare.
In vista di un avvicinamento con l'Udc il presidente dell'Emilia-Romagna, il Pd Errani, ha proposto di costituire la commissione pari opportunità e di darne la presidenza alla cognata di Pf. Casini. Un po' come invitare Landru e Pacciani a parlare di famiglia. Su la Repubblica del 21 agosto Favia si dichiara favorevole all'elezione della presidente Udc per questa nuova – inutile – commissione da altri 150.000 euro annui. Alla domanda del giornalista “Non sembra una logica di spartizione delle poltrone(...)” il consigliere grillino risponde “Ma no, si tratta solo di non essere ideologici”.
Ma se così stanno le cose, a cosa si deve il grande successo del grillismo negli ultimi anni? Certo al vuoto di opposizione e al suicidio della ex sinistra di governo, ma anche ad un marketing e ad un'immagine curati nei minimi dettagli dalla Casaleggio Associati, azienda che cura direttamente il blog, i meet up e tutta l'editoria legata al fenomeno Grillo. I valori della Casaleggio Associati si possono conoscere andando sul sito aziendale e guardando il video “Gaia, il futuro della politica”, ove si preannuncia un mondo dove “ogni essere umano può diventare presidente e controllare il governo attraverso la Rete. In Gaia i partiti, la politica, le ideologie e le religioni scompaiono”. Come no, tutti uguali, i nipoti di Marchionne e quelli di Cipputi, con le stesse opportunità!
Dentro alla partita politica attuale, e soprattutto in quella dei prossimi anni, il MoVimento può avere un certo successo e giocare un ruolo importante: quello di apparire un movimento antisistema, propenso a mutamenti radicali, ma di essere in realtà funzionale ad una modernizzazione in senso tecnicista del quadro politico, partitico ed istituzionale. Forse è proprio questo il significato più coerente da dare alle aperture grilliane verso Montezemolo.