Tra due rive

Emilio Quadrelli, www.contropiano.org, 15 agosto 2011


Era tanto prevedibile quanto inevitabile: tutti i cani da guardia (di sinistra) della borghesia imperialista si sono sentiti in dovere di dire la loro. Lo hanno fatto Alessandro Dal Lago su Liberazione del 12 agosto, Judith Revel e Toni Negri su Uninomade il 13 agosto. Due prese di posizione apparentemente agli antipodi ma, a uno sguardo solo un poco più attento, non poco affini. Liquidare la posizione di Dal Lago è sin troppo semplice. Da buon riformista e opportunista si guarda bene dal legare la condizione di crisi attuale al modo di produzione capitalista, che non si sogna minimamente di tirare a mezzo, preferendo accanirsi sul "liberismo" come se questo involucro ideologico non fosse l'armamentario elaborato ad hoc dalle borghesie imperialiste per l'attuale fase imperialista ma il parto malefico di qualche mente rozza e plebea. Dal Lago, da buon opportunista, coglie l'albero, e questo lo fa sicuramente bene, senza osservare, perché probabilmente per lui neppure esiste, la foresta. Palese il lapsus in merito alla guerra. Anche in questo caso, le politiche di guerra, non sarebbero il frutto maturo delle politiche imperialiste attuali, la guerra non sarebbe l'elemento costitutivo e costituente della nuova era globale ma il frutto perverso di qualche mente malata. Ciò che non coglie Dal Lago, e per dirla per intero neppure può, è la tendenza oggettiva alla guerra perché, in tal caso, l'intero castello di carta su cui poggiano le sue argomentazione "illuminate" andrebbero immediatamente in frantumi. Il suo articolo, andando al sodo, lascia il tempo che trova e con lui tutte le velleità  neosocialdemocratiche  per le quali, dentro la fase imperialista attuale, non vi è alcun spazio. Può, nella migliore delle ipotesi, suscitare qualche battito di ciglia tra le dame dei salotti buoni, ma il tempo dei  radical chic è abbondantemente scaduto. Dentro la crisi gli spazi di mediazione prima si restringono infine si annullano. Siamo a classe contro classe, per gli imbonitori, ancorché ammantati di radicalismo, non c'è storia. O Noi o Loro. La guerra di classe non conosce alternative. Lo sanno bene i padroni,  le masse sembrano, almeno in parte, averlo intuito.
Sicuramente più accattivante e di ben altro spessore l'editoriale della coppia Negri/Revel. Per larghi tratti ciò che scrivono è persino condivisibile. La lettura immediatamente internazionale degli eventi londinesi non è secondaria del resto, Marx e Lenin, non sono certo autori a loro estranei. Negri e Revel hanno, e occorre riconoscerglielo, il coraggio e il merito di pronunciare un termine, da anni oggetto di autocensura, quale insurrezione così come, e in ciò sono perfettamente seguibili, ripropongono, facendo interamente loro il "settarismo leniniano", il concetto di "rottura". A fronte di uno schieramento politico che, in pieno stile tradeunionista, predica l'unità  di tutti e a tutti i costi, quindi l'appiattimento sulle posizioni medie e arretrate delle masse, Negri e Revel individuano nei punti più alti dello scontro e nei soggetti sociali che lo praticano la frazione di classe in grado di egemonizzare e trascinare, imponendo continuamente salti e forzature, anche gli strati arretrati. Dentro la crisi se unità  si da è solo imponendo il punto di vista delle frazioni di classe che, oggettivamente, si pongono ai livelli più alti dello scontro. Rabat chiama Torino, Algeri chiama Londra, Tunisi chiama Parigi e così via. Fino qua, il discorso non fa una piega. I problemi nascono, però, subito dopo quando dal piano analitico si passa sul terreno della prassi politica.  Certo, con non poca faccia tosta, Negri e Revel si liberano in un attimo di tutta la zavorra che per anni hanno contribuito ad accumulare, gettando a mare il reiterato istituzionalismo e cretinismo parlamentare nel quale i loro adepti più ottusi sono rimasti catturati. Mentre il mondo, fuor di metafora, prende fuoco, rincorrere Vendola non è neppure stupido ma solo suicida e Negri e Revel sono tutto tranne che degli idioti autolesionisti. Fiutando il vento si riposizionano a sinistra, di più, tornano estremisti. E lo fanno nel modo abituale degli estremisti, accodandosi alla masse. A loro avviso, il problema non è come costruire, dentro la concreta fase imperialista, il partito dell'insurrezione ma, in qualche modo, per loro il partito è già  dato dentro le pratiche insurrezionali. Tutti i problemi che la conduzione dell'insurrezione, della quale i testi leniniani del 1905 raccontano ancora qualcosa di strategicamente essenziale, sono bellamente accantonati grazie all'azione "già cosciente" delle masse. In questo modo ogni ragionamento sulla forma soggettiva in grado di condurre, in tutte le sue articolazioni, l'assalto al cielo è tranquillamente rimossa. Arrivando al dunque tanto per Dal Lago quanto per Negri/Revel il problema del Partito non si pone. Per il primo perché non é neppure pensabile che le masse si costituiscano in classe politica ponendo in questo modo all'ordine del giorno la questione del potere politico e dello smantellamento della macchina statuale della borghesia imperialista; i secondi perché considerano tutto ciò qualcosa che si risolve spontaneamente dentro l'azione delle masse. Dentro la crisi, invece, la battaglia per il partito è quella decisiva ed è questo il vero banco di prova per le avanguardie comuniste. Ci sono giorni che valgono decenni ma solo la soggettività rivoluzionaria è in grado di trasformare la quantità delle lotte spontanee in qualità politica realizzando la geometrica potenza che si portano in grembo.