Gli ideologi dell'Ocse

"il Manifesto", 10 luglio 2002


Negli ultimi dieci anni, il mondo del lavoro ha subito un terremoto: i diritti acquisiti si sono ristretti, il precariato è aumentato, l'incertezza individuale per il futuro, in termini di continuità del lavoro e di reddito pensionistico, è cresciuta. Questo per cosa? Lo scopo dichiarato delle politiche di deregulation era quello di aumentare l'occupazione. Ieri, l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che riunisce i paesi più ricchi del mondo), nel volume annuale di Prospettive sull'occupazione, ha fatto un bilancio delle sue raccomandazioni fatte agli stati: le Strategie dell'Ocse per l'occupazione, che sono state più o meno seguite dagli stati membri, hanno portato a un aumento dell'occupazione di circa 1,25 punti. Cioè quasi nulla (e, se si va a vedere, visto che nel calcolo degli occupati ci sono anche i precari destinati a ridiventare disoccupati, l'occupazione è in effetti persino diminuita). Anche gli economisti dell'Ocse ammettono un bilancio con molte ombre, un miglioramento relativamente modesto, ma si compiacciono comunque di sottolineare che i risultati sono molto diversi da paese a paese e che gli stati con migliori risultati sono quelli che hanno seguito più da vicino le strategie del Chateau de la Muette. Il 15 e 16 settembre del 2003, non si sa ancora se a Parigi o in Italia, i ministri del lavoro dei trenta paesi dell'Ocse si riuniranno per fare il punto sulle strategie dell'occupazione. Sull'Italia, l'Ocse rileva un calo della disoccupazione, il ribasso più alto delibera dell'Unione europea. Ma questo dato è subito attenuato non solo dal fatto che la disoccupazione italiana resta a livelli percentuali molto alti (9,1% previsto per quest'anno, in calo rispetto al 9,6% del 2001, mentre nell'Unione europea la media prevista è del 7,6% per quest'anno, contro il 7,4% del 2001 e addiritttura del 6,9% in tutta l'area Ocse). In più, l'Italia batte il record (superata solo dalla Polonia) nel tasso di disoccupazione dei giovani: nella fascia tra i 20 e i 24 anni, i senza lavoro sono il 29,5%. Gli economisti dell'Ocse ammettono che la crescita del precariato e del cosiddetto lavoro atipico può comportare un rischio accresciuto di povertà nel lavoro, cioè di persone che pur lavorando non escono dal circolo della povertà. Ma poi bacchetta: la regolazione sulle norme minime relative alla sicurezza del lavoro rischia di avere effetti negativi su altri aspetti dell'efficienza economica. Quindi, la strada da seguire è quella già segnata negli ultimi dieci anni di strategie: riorientare i beneficiari delle prestazioni sociali verso il lavoro, anche con metodi coercitivi (se il disoccupato non accetta il lavoro che gli viene proposto, anche se è diverso o al di sotto della sue qualifiche, perde i sussidi). Questa forma di coercizione e di ricatto alla povertà si chiama oggi valorizzazione del lavoro e attivizzazione dei disoccupati ed ha sempre più successo nei paesi membri.

Inoltre, l'Ocse si preoccupa delle pensioni. Propone di far lavorare gli anziani e si indigna che, oggi, nei paesi ricchi ci siano ancora dei cinquantenni che pensano che il prepensionamento sia un diritto. L'Ocse ammette che le aziende spesso licenziano i lavoratori più anziani, che poi non ritrovano un altro posto, e si limita a suggerire di agire sui due termini dell'equazione, offerta e domanda. La proposta è di destinare i soldi spesi per i pre-pensionamenti a programmi di formazione dei lavoratori anziani. Inoltre, l'Ocse propone di mettere al lavoro il potenziale non sfruttato di manodopera, in particolare tra le donne e gli handicappati (!). Le ricerche fatte dai giovani economisti per l'ultima edizione delle Prospettive per l'occupazione sono serie. Ma l'interpretazione che ne viene data nell'introduzione al volume è pura ideologia, mostra una sclerosi preoccupante del «pensiero unico». Non una parola sulla qualità della vita, un breve accenno alla qualità dei rapporti di lavoro, nessuna preoccupazione neppure per la qualità dei prodotti, mentre numerosi studi segnalano una correlazione tra precariato e pessima qualità.