Resoconto delle visite al Cpt "Regina Pacis" e "Lorizzonte"

di Cinzia Nachira (responsabile provinciale immigrazione Prc Lecce), "Bandiera Rossa News, 19 novembre 2002

Sabato 16 novembre 2002 due delegazioni formate da compagni e compagne di Rifondazione Comunista della federazione di Lecce e del Lecce Social Forum, insieme al deputato Niki Vendola e al giornalista Stefano Menchiarini hanno
visitato due centri di "accoglienza" in provincia di Lecce. Il primo e' stato il Cpt (Centro di permanenza temporanea) Regina Pacis, diretto da Don Cesare Lodeserto, che non si e' fatto trovare e ha affidato la delegazioni "nelle mani" del vicedirettore e di un nugolo di poliziotti della Digos e di un nutrito gruppo di carabinieri della legione di Bari. Il tentativo che i dirigenti del centro hanno fatto di far vedere solo la parte "lucida" della struttura e' stato messo in crisi dalla volonta' della delegazione di non accontentarsi di cio' che erano pronti a mostrare. Di per se', in ogni caso, anche solo restando al recinto esterno e' spaventosa la sensazione di essere in un carcere a cielo aperto. I locali interni che avevamo la liberta' di vedere erano tutti tirati a lucido, ma molto poco accoglienti. Nessuna traccia di una biblioteca o altra struttura in cui i reclusi del Regina Pacis, possano trascorrere le ore del giorno senza guardare il mare che dista poche decine di metri, attraverso una rete metallica alta oltre tre metri e sormontata da filo spinato. Inoltre una camionetta e' posta a serrare l'ingresso principale, ossia quella da dove si accolgono gli ospiti graditi e ufficiali. Non noi evidentemente che siamo stati fatti entrare da una porta laterale che immette direttamente in un
corridoio in cui affaccia l'ufficio del direttore (e dove i reclusi hanno diritto di andare solo "in caso di necessita' e accompagnati dagli  operatori")  dove Niki Vendola e' stato fatto accomodare dal vicedirettore, che ha descritto una situazione idilliaca, di un centro in cui ci sono pool di medici e avvocati che "curano" quelli che loro per quietare la loro coscienza chiamano ospiti ma che in realta' non sono che reclusi. Alle domande "tecniche" il dirigente ha risposto volentieri. Nel centro Regina Pacis la "retta" per recluso e' di 90.000 vecchie lire giornaliere. Il vitto non e' precotto. I cuochi sono italiani, che cucinano piatti evidentemente
italiani, con l'eccezione di un aiuto cuoco marocchino, abbiamo avuto l'impressione, messo in "divisa" poco prima che noi entrassimo e soprattutto piazzato in un punto in cui tutti i membri della delegazione ci parlassero. Egli giunto dal Marocco due mesi fa per motivi "economici" ci ha raccontato di essere in "attesa di permesso" (cosa di per se' strana visto che dal Cpt
si esce solo per essere espulsi) e che tra una settimana avrebbe avuto il permessso di uscire per andare a San Foca (cosa vada a fare in un posto semideserto d'inverno non si capisce). Dalle cucine siamo stati introdotti nel laborotorio medico, anche qui tutto lindo e pulito, con annesso laborotorio odontoiatrico. Qui alle domande un po' piu' scomode e' iniziata la reticenza. Non si capisce in quanti casi le malattie conclamate e quali malattie e a che grado abbiano fermato l'iter dell'espulsione. Inoltre ad
una domanda precisa sull'espulsione di oltre cento tamil, avvenuta nell' aprile scorso, di cui molti ammalati di varicella e a cui fu negato il diritto di consultare gli avvocati da loro nominati; la reticenza e' divenuta menzogna. Agli iniziali "non ricordo" e' subentrato lo scaricabarile con la questura, con imbarazzo generale. Il risultato e' che di quell'episodio indecente (anche perche' all'epoca la Bossi-Fini fu applicata prima della sua approvazione parlamentare, cosa fatta rilevare al dirigente pallido e ormai sudato) e' stato archiviato e comunque e' assolutamente ripetibile. Mentre ci avviavamo all'uscita dal laboratorio medico nel cortile abbiamo chiesto di parlare con i reclusi. Subito, come era ovvio, siamo stati assediati da storie terribili. Un palestinese che dopo aver scontato una pena nel carcere di San Nicola, e' stato trasferito nel Cpt e non sa perche', visto che era munito di regolare permesso di soggiorno avuto in Francia, ed ora ha la prospettiva di essere, tra pochi giorni, rimpatriato a Rafah nella striscia di Gaza. Mentre ha una figlia in Italia con una donna di Parma ("ma non e' sposato!" si affretta a chiarire un operatore italiano del centro, come se la cosa cambiasse il dato di fondo), e' epilettico ed e' entrato in Italia da Marsiglia per vedere la
figlia. Se potesse tornare in Francia la sua situazione giuridica gli eviterebbe il rimpatrio. Un gruppo di ragazzi marocchini ci dicono che nelle camerate al piano di sopra c'e' un uomo malato gravemente di cancro. Un componente della delegazione tenta di salire. E' medico, lo vuol vedere. Viene fermato da un carabiniere sulle scale. Sembra si debba rinunciare.Ma perche' non ci fanno salire? Il vicedirettore invoca la privacy degli ospiti, cosa un po' ridicola, in un posto controllato da decine di uomini in divisa e dove le impronte digitali, "come da norma", le prende la criminalpol. Un lavoratore indiano, del Punjab, mostra le buste paga che ha dal 1994. L'ultima risale al luglio 2002. Ci chiede "perche' sono qui?". Chiediamo se hanno visto un avvocato: un coro di no. Il vicedirettore scuote la testa e ripete che gli avvocati del Cir (comitato italiano rifugiati) vengono due volte a
settimana. E allora perche' quel lavoratore e' li'? Vendola prende le buste paga, le guardiamo tutti e restiamo gelati. Con quale criterio vengono rinchiuse le persone nei Cpt? Ormai ci sfugge. Ci martellano con il fatto che non hanno visto mai un avvocato (che interesse avrebbero a mentire? Sanno bene che noi non possiamo farli uscire. Ma sanno che noi usciremo da li' e possiamo parlare all'esterno. Questa e' l'unica spiegazione possibile della loro insistenza). Intanto un gruppo di ragazzi maghrebini sbarcati in ottanta a Lampedusa e arrivati al Regina Pacis in quarantasette ci racconta una cosa strana. Ci chiedono: perche' trenta di loro sono stati liberati? Chiediamo: ma sono stati espulsi? Ci rispondono: no! Sono ancora in nord Italia e da li' telefonano e mandano pacchi.Ci chiedono: perche' diciassette di loro non possono uscire? Perche' il direttore ripete loro "Domani, forse dopodomani.". Sulla base di quale criterio? Sulla base di quale autorita'? Intanto fra quattro giorni scadono i 60 giorni e loro saranno espulsi ancora una volta nel silenzio? Il direttore non c'e' e il vicedirettore "non sa".! Mentre ci avviamo all'uscita un ragazzo algerino scende correndo dal piano superiore prende sottobraccio Vendola e tutti al primo piano. Alcuni
operatori minacciano apertamente il ragazzo. Il primo piano e' l'inferno: materassi di gomma spugna smozzicati e luridi,
latrine indecenti, finestre rotte."Per le loro risse" dice un operatore (o per tentativi di ribellione a quelle condizioni? pensiamo tutti). E finalmente vediamo il malato. Soprattutto lo vede il medico che e' con noi. Basta un'occhiata. Non si regge in piedi, consunto dalla debolezza per camminare deve essere sostenuto da entrambi i lati. Puo' essere una malattia della pelle come dice il vicedirettore? Puo' un uomo in quelle condizioni aver firmato le dimissioni volontarie dall'ospedale Vito Fazzi di Lecce? Non
sembra possibile, ne' verosimile. Da quando non vede un medico? Da settimane. Aspettano che muoia, un altro modo di espellerlo. Con questo stratagemma, che speriamo che il ragazzo algerino non paghi troppo caro, siamo riusciti a vedere anche la parte del Regina Pacis non tirata a lucido per l'occasione. Mentre usciamo, ormai siamo dentro da oltre due ore, arriva in gran fretta Cesare Lodeserto, il direttore. Non risponde al buongiorno e si chiude con Vendola nel suo studio per un colloquio
privato che dura oltre mezz'ora. Chi avra' confessato cosa a chi? Riteniamo che il ruolo di confessore questa volta sia toccato a Vendola e non a Don Cesare, nonostante l'abito che indossa. All'uscita dal "colloquio privato" ci introduce personalmente nel settore dove alcuni miniappartamenti prefabbricati ospitano le donne "salvate" dalla strada e che oggi sono nel progetto di recupero. Ancora una "zona lucida". Ma non serve a cancellare la domanda di fondo: che succede veramente nel Regina Pacis? Quali abissi di non-diritto vivono coloro che vi finiscono? Le nostre menti, di tutti, sono sconvolte dagli sguardi dei reclusi, senza reato, che ci inseguono fino all'uscita dall'inferno.
Le proposte che ci vengono in mente sono:
- introdurre una sorta di "difensore civico" nei Cpt;
- le visite con deputati disponibili devono essere regolari, se possibili mensili.
Quelle persone rinchiuse nel Regina Pacis devono essere protette. E' un luogo violento, nel senso profondo della parola.
Deve essere imposto ai Cpt un giorno di apertura settimanale, in cui su prenotazione, anche le persone singole impegnate nella solidarieta' possano entrare a visitare i reclusi. E' necessario e possibile.

Resoconto della visita al Centro accoglienza per richiedenti asilo Lorizzonte

Nel pomeriggio di sabato 16 novembre, dopo aver visitato il Cpt Regina Pacis, la delegazione si e' portata verso le 16 e 30 presso il centro di accoglienza per richiedenti asilo Lorizzonte (sic, si chiama proprio cosi', senza apostrofo). La composizione era piu' o meno uguale alla mattina con l'aggiunta di due compagni del Lsf (un'insegnante e un avvocato). Lorizzonte e' in aperta campagna tra Squinzano e Casalabate, in provincia di Lecce. Il centro e' gestito da operatori del Ctm-movimondo, il direttore
Vinicio Russo, non c'e' (un'abitudine dei direttori?). Veniamo accolti da un nutrito gruppo di operatori che immediatamente (si erano ben preparati.) ci descrivono le loro attivita', soprattutto la dottoressa direttrice del centro sanitario. Cosa strana: l'unica emittente televisiva presente e' Top Video, creata dal Ctm, che intervista, inevitabilmente, Niki Vendola. La telecamera di Stefano Menchierini, pero', deve restare spenta. Evitiamo di fare troppa polemica, perche' in ogni caso le cose che vedremo in otto non le dimenticheremo. La presenza militare, anche se piu' discreta nei nostri confronti, e' forte e si tratta di guardia di finanza. All'arrivo troviamo il questore di Lecce in persona, che, al solito, vuole un colloquio privato, anche se all'aperto, con Niki Vendola. Sembra che sia la giornata dei misteri e delle confessioni. Pazientemente aspettiamo circa un quarto d'ora prima di muoverci. Veniamo fatti entrare direttamente nel settore dove i reclusi (anche qui in definitiva gli "ospiti" non possono
uscire, gli esterni possono entrare col contagocce) hanno le loro "stanze". I migranti dormono in androni disadorni su letti a castello (dieci per stanza) con materassi in stato relativamente migliore che al Regina Pacis, in ogni caso impregnati di umidita' e senza coperte e guanciali. Alla domanda sulla mancanza di lenzuola, la dottoressa e la vicedirettrice del centro si lanciano in una spiegazione arzigogolata su "abitudini diverse", per le quali i migranti userebbero le lenzuola come accappatoi.Ci assicurano
che ogni giorno (!?) i materassi vengono messi all'aria e trattati in modo particolare. Queste spiegazioni convincono poco. Quei materassi non sembrano essere stati all'aria poche ore prima. Due componenti della delegazione si avvicinano ad una finestra, tentano di aprirla, resta loro in mano! Evidentemente, almeno in quel dormitorio (non ne vedremo altri), le persone che ci vivono e dormono, non possono aprire la finestra (immaginiamo che in estate debba essere un vero problema col caldo). I muri sono stracolmi di scritte, in diverse lingue, molto sporchi. Alla domanda: che costerebbe una riverniciata? Una risposta poetica: possiamo impedire loro di "fare murales"? Pero' osserviamo noi i locali della mensa sono stati riverniciati molto di fresco. Ancora e' fortissimo l'odore di vernice, che prende alla gola. A quel punto la dottoressa ci invita a non "credere ai cattivi reportages su di loro" in cui si e' detto anche che nelle toilettes non c'era carta igienica. La carta non c'era, sostiene, perche' "hanno l'abitudine di buttare i rotoli nel water". Insistiamo, e allora? Allora hanno preferito dare un rotolo a testa. Domanda cattiva: e che cambia? Non possono ugualmente gettarlo nel water? Gesto insofferente della vicedirettrice, che ci spiega che addirittura hanno tentato inizialmente di installare dei water che poi "loro hanno rotto perche' hanno una cultura diversa" (!!), sicche' hanno dovuto rimettere i bagni alla turca. Anche qui pero' il dubbio che le latrine siano state rotte per reagire a condizioni di vita inaccettabili si insinua nelle nostre menti. Altre volte Lorizzonte e' stato teatro di rivolte interne, c'e' anche una denuncia penale di due ex reclusi. A questa vita sono costretti anche molti bambini. Alcuni piccolissimi. Che fanno durante il giorno? Giocano, ci dicono. Dove? Qui. Con cosa non si capisce. I piu' grandicelli vanno a scuola? No. Aiutano. Chi e a fare cosa? Nessuna risposta. Tutti ci facciamo la stessa domanda: ma per questi bambini vivere in questi condizioni non equivale a crescere in una cella? Loro e i loro genitori di cosa sono colpevoli? Veniamo invitati a parlare con un gruppo, scelto da loro, di ragazzi iracheni. Parlano poco italiano, scarso inglese, quindi aspettiamo che arrivi il "mediatore culturale", ossia un marocchino che ha deciso di restare a lavorare nel centro. Alla domanda se hanno chiesto l'asilo politico in Italia, i ragazzi rispondono in coro di no. Ma soprattutto non hanno intenzione di chiederlo. Ci dicono di essere scappati per fame e non per sfuggire alla dittatura di Saddam Hussein. Non vogliono chiedere l'asilo politico perche' se non lo ottenessero per loro tornare in Iraq
significherebbe finire in carcere, se lo ottenessero non potrebbero tornare in patria per cinque anni. Sono convinti di poter ottenere un foglio di via che gli consenta di raggiungere la Germania. Ci guardiamo frastornati: ma lo sanno che il foglio di via con la Bossi-Fini e' stato cancellato e che esiste solo l'accompagnamento alla frontiera? Che oggi la legge "entro cinque giorni" impone l'espulsione? E che se vengono catturati finiscono in un carcere italiano e poi vengono espulsi, con tanto si segnalazione alle autorita' del loro paese? Significativamente non  rispondono, mentre un'altra operatrice si affretta a "chiarire" che per loro anche se chiedessero l'asilo politico si aprirebbe una prospettiva da incubo: anche se ascoltati dalla commissione nazionale fino al riconoscimento definitivo dello status di rifugiato non possono lavorare, ne' sposarsi, ne' fare alcunche' (le strade che restano loro aperte sono quelle del lavoro nero o del delinquere per sopravvivere). Hanno diritto teoricamente a un sussidio miserrimo (circa duecentomila delle vecchie lire al mese) che in pochi, inoltre, ottengono e riscuotono con regolarita'. Che possono fare una volta che la commissione dice si ? O tornare nel centro (per sopravvivere: in molti casi sono intere famiglie con bambini piccoli) o "arrangiarsi". Che futuro hanno se la commissione dice di no? Nessuno. L'espulsione. Anche qui le risposte alle questioni tecniche sono piu' rilassate: la retta giornaliera e' di trentacinquemila delle vecchie lire. Chiediamo perche' tanta differenza col Cpt? Come colmate la differenza, che evidentemente significa meno servizi? Col volontariato. E' una risposta? No. La discussione con gli operatori prosegue: non vi sembra un carcere? Si, ma cerchiamo di renderlo piu' umano. Perche' il Ctm, una Ong, ha accettato di gestire un centro di detenzione? Perche' altrimenti finiva in mani peggiori. Ma cosa c'e' di peggio di un carcere con dentro anche minori dagli zero anni ai diciassette? Colpevoli solo di essere venuti al mondo? Le risposte tecniche, sono l'alibi. Ne sono passati 24.000 di richiedenti asilo dal centro. Che fine hanno fatto? Molti sono stati espulsi, altri,
pochi, hanno ottenuto l'asilo politico, altri sono riusciti, per loro fortuna a fuggire dall'Italia. La vicedirettrice insiste sul fatto che si sono battuti per rendere piu' "umano" il centro. Hanno rifiutato di mettere le sbarre alle finestre del piano terra. A quelle del primo piano, escluso dalla nostra visita (nessuno riesce a chiamarci e a farci salire come al Regina Pacis), le hanno messe
per sicurezza, ci dicono. O per evitare tentativi di fuga o suicidio? Resta la sensazione fortissima che a Lorizzonte, la nostra "protezione" sia stata organizzata in modo capillare. Ci si sente come i giapponesi in gita organizzata. Il fiore all'occhiello de Lorizzonte e' il centro Don Milani per i minori non accompagnati. Nell'avviarci vediamo un immenso campo di carciofi. Chi li
coltiva? Fanno finta di non sentire. Si vendono? Si, sono i "carciofi della solidarieta'". A chi vanno i proventi delle vendite? Al centro. Chi li coltiva? Il dubbio che i cosiddetti ospiti vengano trasformati in contadini forzati resta. Il centro per i minori e' sicuramente piu' accogliente, di recente costruzione. Anche qui i responsabili chiedono un colloquio privato con Vendola che dura una ventina di minuti. Cosa gli hanno chiesto? Forse di intercedere presso chi ha fatto denuncia contro di loro? Anche qui resta il buco nero del rapporto con gli avvocati. Anche qui assicurano che il Cir gestisce le pratiche dell'asilo. E per coloro che non intendono chiedere asilo? Perche' non ci fanno rispondere da loro? Altra questione: gli operatori si rendono conto che tra poco, dopo l'estinzione dei centri di seconda accoglienza, quel centro si trasformera' in Cpt? Come intendono muoversi? Non lo sanno. Tirano a campare. E la militarizzazione sempre piu' evidente del centro? Non sanno. La visita si conclude dopo circa due ore. Cosa abbiamo visto? Un altro carcere a cielo aperto. Dove, per carita', siamo stati invitati a tornare e dove noi
torneremo. Anche li' e come in Palestina per fare un'azione di "protezione di civili". Le considerazioni finali sono che tra il Cpt e il centro per richiedenti asilo non c'e' differenza sostanziale. La cosiddetta "politica dell'accoglienza" in realta' altro non mira che all'espulsione. Le proposte che ci vengono in mente a fine giornata sono:
-a livello nazionale deve essere preso contatto con il Cir e l'Acnur per capire bene che tipo di rapporto esiste fra i reclusi e gli
avvocati, che sembrano ombre;
-al livello parlamentare, dopo la raccolta di materiale specifico, occorrera' fare una battaglia per risolvere il problema dei richiedenti asilo e del limbo indecente in cui sono costretti a vivere per anni;
-richiesta anche per Lorizzonte di visite a "sorpresa", con l'obbligo da parte del centro di far entrare le persone delle associazioni impegnate nella solidarieta';
-monitoraggio anche per Lorizzonte, come per il Cpt, da parte di un gruppo stabile di parlamentari del nostro partito, innanzitutto (senza escludere chi si rende disponibile di altri gruppi), sistematico e possibilmente mensile.