Tra Dante, Belen e Machiavelli il pop-minestrone di Renzi

Filippo Ceccarelli, "la Repubblica", 2 aprile 2012


Posto che i sindaci farebbero meglio ad amministrare le loro città invece di pubblicare un libro all'anno - e senza nemmeno una riga di ringraziamento a chi ha messo per iscritto le loro pur preziose riflessioni! - quest'ultimo "Stil novo" di Matteo Renzi (Rizzoli, 198 pagine, 15 euro) si configura come un documento rimarchevole su come sarà la politica una volta conclusa la stagione dei tecnici.
Per ora Renzi difende i professori, pure ostentando una paradossale degnazione: «Devono fare i compiti». Ma intanto si prenota un posto e tutto lascia pensare che ne abbia non solo i titoli anagrafici, 37 anni, ma anche una certa astuta ribalderia.
Così il suo stile è studiatamente nuovo, cioè irriverente, però al dunque pure compatibile con i codici dell'odierno potere, a cominciare dal linguaggio "giovanese": dal costante sfoggio lessical-tecnologico a base di clic, blog, apps, tweete via digitando, fino a un sintomatico "argh!" che mutuato dai fumetti egli butta lì in mezzo a una frase.
Il filo conduttore sarebbe quello, invero impegnativo, della Bellezza che salva. Anche la politica, oltre alle legittime, ma ancora inconfessate ambizioni di Renzi.
Ovvio che in questo inseguire il bello, la sua Firenze offre un'infinità di spunti storici e paesaggistici. Ma poi il libro non si capisce bene cosa sia, per quanto tale ambigua indeterminatezza può perfino riverberarsi a suo vantaggio. E comunque: Dante Alighieri era di sinistra; Cosimo de Medici era pure lui, come il giovane Matteo, un rottamatore; le biblioteche del Rinascimento offrono un modello di servizio pubblico; Machiavelli si può considerare un tecnico; la casta impari la lezione di Savonarola; la vicenda di Vespucci contrasta la fuga dei cervelli; le vite di illustri fiorentine si rileggono come l'anticipazione delle quote rosa e via dicendo.
Un corso di storia un po' ye-ye, una guida per turisti un po' arrivisti, una spremuta di orgoglio municipale multi-task, ma soprattutto un pretesto per ricordare che Renzi, lungi dall'essersi "intossicato" nei palazzi romani, non s'è fermato alla stazione Leopolda, dove mesi orsono si tenne un fantasmagorico meeting, ma punta molto in alto. Poi sì, certo, «i puristi si scandalizzeranno - si augura il sindaco - E naturalmente noi ce ne faremo una ragione», laddove è in quel "naturalmente" che si coglie un po' del "nuovo" stile, oltre che nell'antico plurale majestatis. Per il resto, i processi di personalizzazione del potere sono andati molto avanti, umiltà e pudore hanno ceduto il passo al narcisismo e la prosa di questo aspirante leader, certo più scorrevole che nelle sbobbe editoriali dei suoi più attempati rivali, si articola secondo due ostinatissimi moduli: "Io sono" e "Io ho fatto". Così Renzi predica, divulga, divaga, passeggia per la città e si perde nella contemplazione, però è sempre fattivo e si occupa dei tombini intasati; a volte le spara grosse, altre volte ha anche ragione. Ma tutto lascia pensare che nel corso della stesura abbia imposto ai suoi eruditi ghost-writer di storia fiorentina i più difficoltosi salti nell'usato sicuro: Bartali, Belen, piazza Tahrir, il servizio civile obbligatorio, le tigri asiatiche, il caso Lusi, le stragi di Sarajevo, il patto di stabilità, l'anagrafe degli eletti, l'allenatore del Barcellona. Il minestrone pop comunque va giù. E anche se a 37 anni Napoleone era già stato incoronato imperatore, il "giovane" Renzi non la smette di puntare sul futuro: l'importante semmai è che ogni tanto tenga a mente che si tratta pur sempre di un'entità collettiva.