Il gioco delle tre carte. Le statistiche, la disoccupazione, l'Istat

Simone Bisacca, "Umanità Nova", 10 ottobre 2004

Ed ecco a voi…la crescita dell'occupazione! Ma sì, non ci crederete, ma in Italia l'occupazione è cresciuta nei primi sei mesi del 2004! Non ve ne siete accorti? Ma, ragazzi, è perché non lavorate all'ISTAT! E già: i nostri ineffabili statistici nazionali hanno sfornato in questi giorni i dati sull'occupazione nello stivale e, sorpresa, sorpresa, contro ogni apparenza, c'è più gente che lavora di un anno fa! Prima di chiedere il nome del pusher che ha venduto loro roba così allucinogena, statemi a sentire. I ragazzi dell'ISTAT hanno lavorato sodo, tanto che ci hanno messo mesi e mesi ad elaborare il loro nuovo sistema di rilevamento. Già, perché era da un pezzo che il nostro istituto di statistica stava muto, ma un motivo c'era: si stava elaborando il nuovo sistema di rilevamento. Non chiedetemi cosa sia: l'albero si riconosce dai frutti. E giacché ci dicono che i disoccupati son calati, questo vi basti ad avere l'idea del nuovo sistema. Un tarocco bell'e buono. Dice il filosofo che dio non gioca a dadi: evidentemente invece all'ISTAT hanno messo su il tavolino delle tre carte. Basta considerare al lavoro qualsiasi cristo che nell'arco del periodo di riferimento ha faticato per qualche giorno ed il gioco è fatto. In più consideriamo la sanatoria dei lavoratori extracomunitari che aggiunge sangue nuovo all'asfittica platea degli occupati. Et voilà! Il gioco è fatto. Il disastro del lavoro che non c'è, però, esplode se si disaggregano per aree del paese i bei dati: al sud d'Italia si sono persi più di 100.000 posti di lavoro, compensati con il trucco contabile del precariato nordista e con l'iniezione di lavoratori migranti regolarizzati. Sintomatico della incredibilità dei dati forniti dall'ISTAT è il fatto che i berluscones non abbiano intonato alcun peana e che, anzi, i padroni abbiano sottolineato che il paese è al palo: non c'è sviluppo alle viste. Ma la riflessione si deve spostare sull'artificiosità dell'operazione e sulle sue più profonde motivazioni. Il gioco sta nel far digerire la precarietà del lavoro come fatto comunque positivo. La legge 30/2003, la legge Biagi di riforma del mercato del lavoro, non è certo ancora andata a regime, ma bisogna preparare il terreno, spacciando per scientifico un metodo di rilevamento dell'occupazione che fa a pugni con la realtà, così come bisogna far passare l'idea che sia normale essere precari a vita perché questa è la modernità. Ma quanto è bello tutto ciò che è nuovo! Chi si batte contro il massacro sociale in atto è un dinosauro destinato all'estinzione, non è attuale né scientifico. Quattro soldi di salario son pur sempre un… salario! Ma che geni, 'sti ragazzi dell'ISTAT. E chi ha detto che "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa"? Qualche vetero marxista, qualche incallito sindacalista irriducibile, un anarchico wobbly in naftalina? Macché: l'hanno scritto un gruppo di distinti signori iscritti al PCI, alla DC, al PSI, al Partito d'Azione (what?…), al PLI (già, pure loro…), nel lontano 1948 (ah, ecco, il '48 c'è, mi pareva) all'art. 36 di quella che viene denominata Costituzione della Repubblica italiana (finché i berluscones non la butteranno, con la benedizione dei fighetti rutellioti e diessini, nel cesso). Stupiti? Compagni, pensate a che punto siamo arrivati se suona amica la sintesi tra il pensiero cattolico sociale, comunista, socialista, liberale, della prima metà del secolo scorso in questo povero, devastato, paese. Altro che rivoluzione! Qui bisogna ripartire dall'ABC del conflitto lavoro vs. capitale, rimboccarsi tutte e due le maniche e ogni giorno tener duro assieme a chi lotta per il pane. O no?