PRESENTAZIONE

del presidente dell’Associazione Aldo Conti  

Quando qualche mese fa, noi dell’Associazione Pro Loco di Patrica ci accingevamo a pubblicare il volume “Poesia” di Pierino Montini, conclude­vamo le notizie biografiche sull’autore con l’informazione che egli stava completando, tra l’altro, una raccolta di fiabe sul Natale. Ora, a pochi mesi di distanza, presentiamo all’attenzione dei nostri concittadini e della critica letteraria di un certo livello “Solo per amore”. Questo libro è un atto di riconoscenza ai nostri luoghi, alle nostre abitudini, alle nostre persone. Chi non riconosce nella descrizione del brano “Il segreto della montagna” il nostro monte Calciano? Chi potrebbe dubitare che “Un Natale inaspettato” non abbia le sue radici nella tradizione orale dei pastori del nostro Cacume? “Tu solo puoi riscaldarmi” descrive, poi, in modo poetico e com­movente ciò che è capitato, capita, e speriamo non capiti più, ad alcuni nostri anziani trapiantati per vari motivi in qualche metropoli, con la conseguente condanna all’inattività, alla spersonalizzazione e alla fine improvvisa. Questo mio intervento è poco attinente all’aspetto magico, ovattato del Natale, cosi come è detto nei brani “Due strani bambini”, La bambina che camminò sull’‘arcobaleno”, “L’ultimo zampognaro”. Natale è anche questo, nel modo in cui molti visitatori dicono che il nostro paese rassomigli ad uno scorcio del presepe, soprattutto quando è ricoperto di neve.Con queste fiabe possiamo riempire le nostre finestre, le nostre scalinate, i nostri panorami, le nostre montagne e, speriamo, anche i nostri pensieri con personaggi e cose apparte­nenti al nostro comune. Storie animate da gente come noi, che vive come noi, che ha i nostri problemi, ma che supera in modo come noi, forse, non ci siamo mai impegnati a superare. Importante è andare oltre, incontrarci come paese, mettere da parte le incomprensioni oppure la pretesa che ognuno di noi possegga la Verità assoluta che gli altri non riusciranno mai a capire. Abbandoniamo le posizioni di parte, di politica, di squadra, così come è scritto in “La bambina che camminò sull’arcobaleno” e, meglio ancora, in “Un Natale inaspettato: “Qui c’è posto per chi crede che i miracoli siano ancora possibili, come i pastori che accorsero verso la grotta dove nacque Gesù”. Noi della Pro Loco di Patrica siamo coscienti di vivere un momento di difficoltà di numero, difficoltà economiche, difficoltà di essere ignorati, difficoltà di fare tante oppure poche cose che, poi, passeranno sempre inosservate e, nel migliore dei modi, saranno quasi sempre criticate. In queste undici fiabe sul Natale siamo chiamati a dare una risposta costruttiva, in parallelo a quanto ho citato sopra: qui, a Patrica, si potrà continuare a vivere se già da questo anno tutti insieme saremo capaci di farci sedurre da un Natale diverso. Un Natale fatto di amicizia, di collaborazione, di dialogo costruttivo. Si può fare a meno anche di fondi economici, che assicurano autonomia e serenità a qualsivoglia associazione o gruppo culturale, ma non si può continuare a fare a meno per sempre di nuovi collaboratori, di nuove idee e di nuovi stimoli. Accettate questo libro come un augurio che la Pro Loco di Patrica esprime ad ognuno di voi, ma soprattutto al nostro paese, inteso al modo della comunità montana descritta nel brano intitolato “Quando rubarono il Bambinello".

 

 

Una fiaba per grandi e piccini

 

Quando rubarono il Bambinello

 

Una volta esisteva un paese lontano, arroccato su una montagna molto alta. Quando i suoi abitanti avevano bisogno di qualcosa scendevano fino in città, impiegando un giorno intero per andare ed un giorno intero per ritornare. La distanza tra il paese e la città era così grande che i montanari preferivano scendere in città solo in casi molto rari. Per questo essi desideravano poco le cose che non avevano ed erano molto amici tra di loro: erano più poveri degli abitanti della città, ma erano anche più felici di loro. Non esisteva nessun ospizio per i vecchi. Non c’erano bambini abbandonati. La felicità di uno era anche la felicità di tutti e la tristezza di un bambino era anche la tristezza dei grandi. Tutti collaboravano, si aiutavano e cercavano di diventare sempre più bravi tra di loro. Un giorno, però, anche in quel paese accadde qualcosa che rese pensierosi tutti gli abitanti, grandi e piccoli. Era il 20 dicembre. Tutti aspettavano la notte del 24 dicembre per restare sbalorditi di fronte al grande presepe che ogni anno veniva costruito nella piccola piazza del paese. Infatti da almeno dieci giorni una parte della piazza era stata coperta con un gran telo rosso, per non far vedere il presepe che quell’anno alcuni giovani stavano costruendo. Per questo i bambini ed i più vecchi trascorrevano tutti i pomeriggi in piazza, davanti a quel tendone, per immaginare che cosa succedesse al di là del telo. Stavano in silenzio e si sentiva solo il battere del martello e sussurri. Tutto lasciava presagire che quell’anno il presepe sarebbe stato più affascinante dell’anno precedente. Finalmente arrivò il 24 dicembre. il paese si rivestì pian piano a festa. Sui balconi furono esposti vasi di gerani fioriti: gerani bianchi, rosa, rossi, turchini. I vetri delle finestre furono lucidati, le porte spolverate. Nel pomeriggio le nonne e le mamme avevano cucinato le cose degli altri giorni, ma che avrebbero avuto un sapore mille volte migliore per coloro che le avrebbero mangiate, dal momento che erano state cucinate con un tocco d’amore in più. I nonni e gli uomini avevano portato a casa un tronco di legna più grande, perché bruciasse tutta la notte e la sua brace servisse per accendere il fuoco anche il giorno dopo: nel paese si credeva che Dio benedicesse la casa nella quale la mattina del 25 dicembre il fuoco sarebbe stato riacceso con la brace conservata sotto la cenere dalla notte precedente. Poi fu pomeriggio e notte. Alle ore 23 si sarebbero recati tutti in chiesa, per rivivere la nascita del povero Bambinello, sceso dal cielo sulla terra, per dimostrare agli uomini che il modo migliore di volersi bene è quello di amarsi tutti insieme, Dio e gli uomini. Tutti si sistemavano prima di uscire. Qualche papà aveva bevuto un pò troppo, ma andava bene lo stesso. Le mamme si preoccupavano di coprire la testa dei loro bambini, che avevano gli occhi più vispi del solito. Da anni, ormai, era così, ma ogni volta era come se fosse la prima volta. All’improvviso, però, sul silenzio del paese si diffuse il richiamo insolito delle campane, che creò scompiglio, un corri corri, meravi­glia per quella chiamata improvvisa. C’era chi diceva: “Che cosa è successo?” Qualche mamma rimproverava i bambini: “Avete visto? Invece di fare presto, come mi avevate promesso, anche questa volta avete fatto tardi”. Una nonna disse al nonno che aveva pensato più al bicchiere che all’orologio. Così, tutti corsero in fretta verso la chiesa. E nessuno fece caso che erano appena le 22. Perché le campane avevano suonato? La chiesa si riempì fino agli ultimi posti, don Bruno salì i tre gradini che conducevano fino all’altare. Si fermò. Respirò profondamente come per calmarsi. Da come batteva i suoi occhi tutti intuirono che era successo qualcosa di strano. “Non si sa più in che mondo viviamo!” Esclamò. E, poi, continuò: “Ci rubiamo il giornale nella buca della posta, l’insalata nell’orto. Mi è stato detto che ultimamente qualcuno ha rubato dei vasi sui nostri davanzali più bassi. Arriveremo anche noi a mettere inferiate di ferro alle nostre porte e alle nostre finestre, come hanno già fatto in città?” Fece una lunga pausa e aggiunse: “Sì, il Bambinello! Ci voleva anche questo. Scusatemi, ma è sparita la statua del Bambinello, che a mezzanotte avremmo dovuto portare in processione fino al presepe che è sulla piazza del paese. Dopo aver baciato i suoi piedi lo avremmo deposto nel nostro presepe come tutti gli altri anni, per riflettere che Gesù è nato per un attimo anche tra noi. Ebbene, Gesù, il Bambinello, non c’è più. Hanno rapito il Bambinello ... Non lo troviamo più. Ho chiesto a tutti, al sagrestano, ai chierichetti, alle suore, alle donne che questo pomeriggio hanno pulito la chiesa... Nessuno sa dirmi nulla… Sparito, sparito, nel nulla, come se fosse un ladro. Eppure, qualche ora fa stava ancora sul tavolo della sagrestia... Che fare? Pensiamoci un pò. Manca ancora qualche ora alla mezzanotte. Poi vedremo”. Tutti parteciparono con molta attenzione alla messa. Tutti fecero la comunione. Qualcuno, durante la fila che andava dai banchi ai piedi dell’altare, faceva capolino ora qua ora là per salutare con lo sguardo un amico. Qualche persona immaginò che gli sguardi rivolti a lei fossero come delle domande che dicevano: “Ciao, come stai? Perché non vai a recuperare la statuina che hai nascosto per farci un scherzo?” Ma niente, niente. Sembrava che tutti facessero la comunione quasi per scusarsi di fronte agli altri. Il parroco pensò tra sé e sé: Nessuno! Nessuno! Come nessuno? Ci dev’essere un vecchio, un bambino. Qualcuno che l’ha preso di nascosto, per scherzo!” Quando la messa finì tutti aspettavano che almeno uno dicesse cosa fare. Sulla piazza era già tutto pronto e tutti credevano che da un momento all’altro avvenisse la stessa cosa che era stata fatta tutti gli   anni precedenti: il sacerdote, dopo aver preso tra le braccia la statuina del Bambinello, che era adagiato ai piedi dell’altare, avrebbe fatto segno ai bambini di andare avanti, seguiti dai grandi, fino alla piazza del paese. Ed, invece, non era così. C’era un pò di malumore, di tristezza. C’era pericolo che le cose precipitassero, che qualcuno un pò birbantello fosse accusato dagli altri di aver sequestrato il Bambinello dal tavolo della sagrestia. I bambini stavano zitti zitti dentro i loro cappotti, meno assonnati dei grandi perché volevano vedere il Bambinello e sapere come sarebbe andata a finire quella storia così strana. Nessuno poteva nascondersi, eppure in mezzo a loro c’era qualcuno, grande o piccolo, che riusciva a nascondersi tanto bene! Anche don Bruno capì la diffidenza che serpeggiava tra i presenti. Per non far precipitare le cose disse: “Oramai è troppo tardi per costruire un altro Bambinello. La città è troppo distante per andare a comperarne un altro. E, visto che nessuno sa dirci dove sia finito il nostro, andiamo ugualmente in piazza, per ringraziare Gesù di essere tra noi anche se tra noi manca la sua immagine”. Tutti si diressero verso la piazzetta, che distava pochi metri dalla chiesa. Erano tristi e avevano dimenticato che tra qualche minuto sarebbe stato Natale. Don Bruno non aveva nelle sue braccia nessun Bambinello. Quando giunsero davanti al grande telone, che nascondeva il nuovo presepe, si divisero in due file. Dai loro occhi don Bruno indovinò che tutti non vedevano l’ora di tornare a casa, perché quell’anno mancava qualcuno. Coloro che avevano costruito il presepe non volevano alzare il tendone. Neppure don Bruno riusciva a convincerli. Uno di loro disse: “Che Natale è questo senza Gesù? Che presepe è questo senza il Bambinello?” Don Bruno li pregò di alzare il tendone almeno per un pò. Ma essi dicevano: “Non è possibile! Non è giusto! Che presepe è senza un Bambinello?” Alla fine, qualcuno che era più vicino al tendone, fece segno agli altri di stare un pò zitti. Piano piano sulla piazza calò il silenzio totale e si distinse il vagito sempre più distinto di un bambino. Don Bruno si grattò la testa. Tutti volevano che quel tendone diventasse subito trasparente per vedere dall’altra parte. Il tendone fu alzato adagio adagio, piano piano, per paura di trovarsi di fronte a un fatto insolito e strano. Ed, infatti, fu così: nella mangiatoia, tra il bue e l’asinello, non c’era il Bambinello di gesso, ma un bambino vero, di carne e ossa. Che piangeva. Che aveva freddo. Che aveva fame. Che alzava le manine come per chiedere aiuto. I bambini restarono meravigliati. Gli uomini allibiti. Le mamme e le nonne sorprese. Nessuno parlava, ma tutti si chiedevano dentro di se: “Chi sarà mai questo bambino?” Don Bruno fu più lesto degli altri. Dando spintoni a destra e a sinistra si avvicinò alla mangiatoia, ma non ebbe il coraggio di alzare il bambino. Allora si fece avanti una donna, che si tolse lo scialle e ricoprì il bambino. Tutti trattennero il respiro ed ognuno senti battere forte forte il proprio cuore, come non lo aveva sentito prima, mentre lei, afferrato il bambino, lo avvicinava dolcemente al suo petto. Il bambino si calmò e si assopì, ma non poteva rimanere a lungo in quel posto freddo. I bambini e le bambine tornando a casa, allungavano il collo per vedere i capelli, il viso, gli occhi di quel bambino. Ed intanto don Bruno ed i responsabili del presepe decisero che cosa fare. Una donna avrebbe portato quel bambino con sé per quella notte. Poi il 25 dicembre si sarebbero riuniti per vedere di trovare i suoi genitori, avvisare i parenti, informare i carabinieri. Il giorno dopo, però, tutto fu più difficile di quanto era sembrato la sera precedente. In paese non c’era nessuno che fosse in grado di dire qualcosa di quel bambino. Quando giunse il turno delle testimonianze dei bambini uno di loro disse che proprio il 24 dicembre aveva visto, vicino alle prime case del paese, un giovane ed una giovane un po’ sospetti, che portavano una grande borsa. Lei era molto giovane e bella. Piangeva. Lui anche era giovane, bello, ma un po’ nervoso. Lei taceva sempre, mentre lui parlava ad intervalli. Lei teneva in braccio una borsa e cercava di accarezzarla ogni tanto. Lui cercava di prendergliela, ma lei si rifiutava di dargliela. Qualcuno disse che si trattava di due giovani saliti fin lassù dalla città. Nella borsa doveva esserci nascosto il bambino poi deposto nella mangiatoia, mentre tutti erano a casa per il cenone. Anche don Bruno assentì, dicendo che le cose dovevano essere andate proprio così. Anzi, aggiunse che molto probabilmente i due giovani avevano preso il Bambinello di gesso per ricordarsi del bambino abbandonato. Nessuno volle sapere di più. Non esisteva più alcun problema. Bisognava solo dare un nome al bambino. Tutti dissero che doveva darglielo don Bruno. “Lo chiameremo Bambino. Sì, proprio Bambino, come il Bambinello smarrito ieri notte ma ritrovato oggi”.