La fuga di Voltaire e la colpa di farsi sentire
di Dario
Fo
Voltaire non era più gradito nella sua patria, nella sua
città, nella sua casa. Fuggendo era riparato in Germania. Pativa perché non
poteva usare più la sua lingua perché aveva salvato la vita per miracolo,
perché viveva in un luogo sconosciuto e lontano.
Ma che cosa ho fatto, di che cosa posso essere colpevole? Si chiedeva
continuamente in quei lunghi spazi vuoti di tempo. Che cosa posso avere commesso
per essere inseguito da una simile ingiunzione all’esilio?
D’un tratto tutto fu chiaro, è come se un lampo gli si fosse aperto nella
mente. «So qual è la ragione, - disse Voltaire a se stesso nel silenzio
dell’esilio -. So qual è la ragione dell’isolamento, della minaccia, della
fuga. La ragione è che ho parlato, ho espresso ad alta voce pubblicamente i
miei pensieri».
Questo non ti perdonano. Non importa neppure quello che dici. Non è che stanno
tanto ad ascoltarti. La cosa importante è farti tacere. Altrimenti sei tu il
colpevole. Colpevole di avere parlato, coinvolto altri nelle tue idee.
È proprio ciò che è accaduto in Italia in poche settimane: all’improvviso
un bel po’ di opinione pubblica si è svegliata, un bel po’ di gente è
scesa nelle strade, un bel po’ di voci si sono fatte sentire.
La sinistra si sveglia e invece di mostrarsi ingrugnata e arrabbiata per il
lungo silenzio, si ritrova insieme attiva, gioiosa, con una gran voglia di
parlare, comunicare, incontrare, ascoltare, farsi sentire.
In un primo momento qualcuno storce il naso e commenta: adesso si rivoltano
contro i loro leader e ci sarà lo spettacolo di una bella spaccatura, ci sarà
da ridere.
Un po’ è stato così all’inizio ma la voglia di ricominciare era troppa e
si sono visti in strada, quelli di sinistra, prima a decine di migliaia (vi
ricordate al Palavobis?) e poi centinaia di migliaia come a Piazza San Giovanni
a Roma, e ascoltano i loro leader ma anche si fanno ascoltare.
Non hanno tanta voglia di non esistere.
Inaspettatamente - intanto- si uniscono i sindacati.
Prima trattano e parlano poi decidono insieme ed erano secoli che non succedeva.
Adesso sono lì, decisi, tranquilli, inflessibili. Provano a dividerli ne
allettano qualcuno, minacciano altri ma non funziona. Allora dicono che la loro
colpa, la nostra colpa è di esserci e di parlare e dicono tacete!
L’altra sera hanno ucciso un professore, uno specialista conosciuto e stimato
da altri specialisti.
Uno a cui avevano tolto la scorta (come al commissario Luigi Calabresi,
ricordate?) Adesso dicono che lo hanno ucciso coloro che parlano, coloro che si
fanno sentire alla luce del sole, quelli del Palavobis, dei palazzi di Giustizia
di Roma, di Milano, di Napoli, sono loro che eccitano gli animi, quelli dei
cortei di professori con i cartelli in latino di Torino e Firenze.
Quindi eccoci di nuovo a Voltaire: il colpevole è chi usa la parola, chi
esprime ad alta voce le proprie idee, chi parla è il vero colpevole di ogni
delitto.
(da "l'Unità" del 20 Marzo 2002)