Singapore

 
impact p.

 

Se dovessi scegliere un solo aggettivo in grado di definire la città di Singapore, quell' aggettivo sarebbe sicuramente incredibile. La cosa strana è che, chiedendo un parere ad altre persone che ci sono state, mi sono quasi sempre sentito rispondere la stessa cosa: "Singapore? E' una città incredibile". O la ami o la odi, come diceva qualcuno, ma sempre incredibile rimane. Il perchè, almeno per me, è difficile dirlo: sarebbe troppo scontato dare la colpa ai suoi grattacieli che scintillano sotto il sole, ai suoi quartieri coloniali, a chinatown; probabilmente è un fatto di atmosfera, un' atmosfera molto particolare che la rende unica. In fondo, si tratta solo di una minuscola isoletta tropicale cementificata, attraversata da un fiume, che si protende dalla penisola malese, sulla quale sono finiti poi per mescolarsi felicemente influssi europei, malesi, cinesi, indiani, arabi, ecc.

La mia permanenza è stata breve, solo un paio di notti, ma mi sono bastate per ubriacarmi della sua atmosfera inebriante: la vita, come solo in una città asiatica è possibile, scorre vivacemente ad ogni ora del giorno e della notte, le strade sono sempre piene di gente, dagli indaffarati ai cultori dello shopping più sfrenato e del divertimento; si, perchè la città è un tempio indiscusso del consumismo, e ciò si nota dall' aria condizionata presente ovunque, dai centri commerciali enormi, a volte grandi come isolati (oltre al rischio di perdersi, può succedere di varcare l' uscita e trovarsi in un quartiere diverso da quello di partenza), dal modo in cui si veste la gente, dalle auto, ecc. Devo premettere che a me tutto ciò non è mai piaciuto, anzi appena posso cerco rifugio in luoghi dove tutto ciò resti il più possibile lontano dai miei occhi, però devo confessare che, in questo caso, ne sono rimasto affascinato. Camminare in Orchard Road, la via principale del centro, non è, credetemi, come camminare a Piccadilly circus o in altre grandi città: può piacere o meno, ma è comunque un' esperienza. Il senso di grandeur dei cinesi d' oltremare, sempre in eterna competizione con l' occidente, qui ha trovato libero sfogo: a ridosso dei marciapiedi queen-size, si aprono sfavillanti mega-centri commerciali ricchi di ogni ben di dio, dalle ultime novità dell' elettronica all' alta moda italiana; ristoranti a due, tre, perfino quattro piani invogliano i passanti a gustare alcune tra le differenti cucine di tutto il mondo; eleganti locali, pub decisamente futuristici e discoteche dell' ultimo grido riempiono elegantemente l' aria con la loro musica soffusa; completano il quadro megaschermi che inneggiano alle ultime novità cinematografiche, megafoni che trasmettono programmi radio, una infinità di insegne luminose, instancabili ascensori in plexiglass che, arrampicandosi su per impressionanti grattacieli, promettono una vista impagabile sulla città. E' perfino difficile trovare un telefono da queste parti, dato che ogni cinquanta metri c'è una cabina che, al posto del familiare apparecchio telefonico, offre internet a pagamento. Non siamo decisamente abituati a queste cose. Qui ho sentito la vita scorrere, ho pensato alla grandezza dell' uomo, in grado di fare tutto ciò; ho visto le persone, sempre in movimento-chi si ferma è perduto-è impossibile non essere sopraffatti da ciò che ci sta intorno-guarda qui-entra la, ormai chiaramente sofferenti di quella sindrome da capitalismo che alla lunga finisce per logorare.

Cosi, dopo Orchard road, viene voglia di immergersi nel quartiere cinese o indiano, profondamente diversi quanto anch' essi in perenne attività; In particolare Chinatown è una esperienza imperdibile: al mattino questo quartiere sembra davvero morto, i negozi sono quasi tutti chiusi ed in giro si nota soltanto qualche turista ignaro; al calare delle prime tenebre, una miriade di negozietti cominciano ad aprire i battenti, ad esporre le merci sulle bancarelle e sui marciapiedi; l' odore di fritto proveniente dai numerosissimi ristorantini (ma è un eufemismo, trattandosi di una via di mezzo tra un chiosco ed una tavola calda) si fa sempre più intenso, le strade si animano di gente in cerca di merce da comprare, di un pasto, di qualcosa su cui sparlare: è una immersione totale in un altro mondo, tanto interessante quanto incomprensibile per chi continua a trincerarsi dietro il velo della diffidenza e della superiorità. Il vociare è continuo, le orecchie si riempiono subito degli idiomi cantilenanti e taglienti dei cinesi, urla di bambini, mercanti, avventori, vecchi. Gli occhi increduli si soffermano incessantemente sulla paccottiglia esposta, sugli pseudo-manicaretti, sulle onnipresenti luci e scritte ideografiche, sui volti apparentemente saggi e statuari di vecchi farmacisti seduti placidamente nelle loro botteghe. Qui si può comprare veramente di tutto: macchine fotografiche, videogiochi, porcellane, sete, spezie, medicine cinesi, incenso, tè, souvenir. Particolarmente interessanti sono appunto le erboristerie a conduzione familiare, le quali usualmente offrono un temporaneo rifugio dalla confusione della strada: al loro interno vige una quiete assoluta, sembra quasi di essere capitati in un angolo di cina vagamente anni 20; un anziano signore sarà ben lieto di esaminarvi brevemente il polso e consigliarvi alcune erbe, accuratamente soppesate su bilancine metalliche manuali e confezionate dagli zelanti assistenti con movenze eleganti.

Una mattina, desideroso di scoprire qualche altra forma di devozione oltre a quella dei soldi, del cibo, dei beni di consumo, dell' eleganza, mi sono recato in uno dei tanti templi indiani disseminati per la città, quello di Sri Mariamman, oasi di spiritualità nel bel mezzo del materialismo di Chinatown. Si tratta di uno dei più antichi templi della città, comunque risalente a non prima del 1800, edificato dalla comunità indiana di Singapore. Che dire, di solito, tranne alla mattina presto, il tempio è pieno di turisti, dalle comitive distratte di Giapponesi a quelle di Americani, decisamente più misticheggianti; la sua atmosfera viene perciò un pò deturpata, anche se l' obbligo di togliersi le scarpe e di oltrepassare l'area destinata ai soli fedeli ci ricorda la sacralità del luogo, votato alle divinità indù. La cosa che mi ha colpito è stata soprattutto la sua serenità, cinto da un cortile nel quale sorge il tempio vero e proprio più varie cappelle: sciami di uccelli vagano indisturbati tra i fedeli, dagli atteggiamenti decisamente rilassati (nulla è vietato, si può mangiare, gridare, cantare: molto diverso dalle varie chiese e moschee), i turisti sono liberi di fotografare e riprendere a piacimento. Tra l' altro, per mia fortuna, ad un certo punto è cominciata una cerimonia indù: i musicanti si sono messi a suonare a più non posso i loro strumenti a corda e a fiato, creando una melodia assai suggestiva e trascinante; allora i fedeli, rappresentati per lo più da donne drappeggiate nei sari e uomini a torso nudo, seguendo il sacerdote officiante, a dire il vero figura quanto mai pittoresca, hanno inscenato una processione culminata nel sacrificio di frutta lanciata in un paiolo fumante, tra gli sguardi estatici dei più zelanti, gli inni rituali cadenzati dal sacerdote, nuvole di incenso e il frastuono dei cembali. Ovviamente sotto gli occhi dei turisti presenti, ancora increduli della fortuna di essere capitati li proprio al momento giusto.

Singapore è piena di altri templi, siano essi tempietti della felicità cinesi, buddisti, indù, musulmani, cristiani; il contrasto tra la modernità e la tradfizione si può notare ovunque, specialmente nei quartieri coloniali a ridosso dei grattacieli. Dopotutto non dimentichiamo che a fondare la città fu un Inglese, sir Stamford Raffles, ora assurto dalla propaganda guasi al rango di divinità e pertanto celebrato con monumenti sparsi un pò dappertutto.

Ma ora mi pare doveroso affrontare un altro discorso: se la "città del leone" è cosi moderna, poliglotta, ricca, organizzata (almeno apparentemente), ciò lo si deve al governo del premier Lee Kuan Yew, che ha tenuto il potere con la mano di ferro per molti decenni; il turista noterà subito la pulizia delle strade (la multa per chi getta qualcosa supera le seidentomilalire italiane), la mancanza di criminalità e perfino polizia (sono ovunque, ma in borghese), il rispetto quasi maniacale per le regole e la disciplina, che a volte può dare luogo a comportamenti assurdi per la nostra mentalità. Un pò più fatica farà ad abituarsi a tale stile di vita, ed altrettanto ci metterà ad accorgersi che, dietro l' apparenza di città vetrina, Singapore nasconde forse alcuni problemi, primo tra i quali la limitazione di alcune libertà al fine di mantenere la legalità e la stabilità a tutti i costi. Comunque, si può dire che questo sia una specie di paradiso per il turista, sempre coccolato ed agevolato dalle agenzie governative preposte: i mezzi pubblici sono eccellenti ed a buon mercato, l' offerta alberghiera molto ampia, le opportunità di fare buoni affari sono alte; varie sono le attrazioni come zoo tropicali, acquari, musei, teatri, parchi. Data inoltre la posizione strategica, da qui è possibile compiere brevi escursioni in Malesia ed Indonesia. Passare il tempo dunque non è un problema: tra un giro in battello sul fiume, un salto sull' isola di Sentosa, un pò di shopping, qualche visita culturale, i giorni scorrono veloci. Forse l' unico neo è rappresentato dalla gente, un pò meno genuina e gentile nei confronti degli stranieri rispetto a quella di altre nazioni asiatiche. E poi c' è il sing-lish, l' idioma dei singaporesi (non è altrio che inglese, ma pronunciato alla cinese): essendo melodioso ma difficilmente comprensibile, spesso costringe a fare figuracce con i locali, assai poco propensi a ripetersi ... paese che vai, usanza che trovi!

 

 

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