Abito esoterico e abito profano


 

Uno dei termini che più frequentemente si manifesta nel parlare di temi esoterici, è quello di veste o abito. Come spesso accade nel trattare di argomenti legati allo spirituale, doppio e opposto è il valore evocativo di tale parola.

In esoterismo la doppiezza di enunciazione o di evocazione non dipende dalla variabilità della verità, che variabile negli alti piani non è, ma dalla mutevolezza dell'animo umano, che danza sul filo del rasoio: da un lato la conoscenza e dall'altro il baratro dell'ignoranza.

Per veste e abito si intende sia la nostra personalità, che la veste o abito di luce: l'anima.

La prima altro non è che la maschera con cui ci mostriamo al mondo esterno, con cui ci rapportiamo agli altri, attraverso cui agiamo e interagiamo. E' un duplice iganno consumato da un cieco verso altri ciechi. Incapaci come siamo di esercitare il potere della vista interiore, ci lasciamo abbagliare dai fuochi fatui delle apparenze, fermandoci alla forma e dimentichi del contenuto, drammaticamente però rimaniamo fascinati anche dal nostro apparire. Infatti quanta della nostra energia, quanto dei nostri pensieri, quanto del nostro studio è rivolto al come gli altri ci vedono ?

Rincorrendo così l'effimero dell'apparenza, ai danni della nostra essenza, cioè del nostro SE, costretti da noi stessi e dagli altri a recitare un ruolo a noi innaturale e ostile, ma inconsapevoli di tale recita: dormienti ignavi. Si potrà obiettare che è importante essere accettati, fare parte di una comunità di un gruppo, questo è ovvio, ma vorrei ricordare che la differenza fra l'oro e l'ottone sussiste per il sapiente, ma non per lo stolto.

Questo nostro apparire è in definita influenzato sai dall'opinione e pressione che gli altri esercitano su di noi, e con essi tutta la struttura, che proiettano le proprie illusioni e aspettative, sia dalla nostra necessità di essere accolti. Oggi in un mondo sempre più effimero, sempre più mutevole, sempre più degradante, si è accentuata la forbice fra quello che è cibo sostanziale per l'essere intimo, e quello che invece altro non è che vanità delle vanità.

Questa nostra maschera sul mondo esterno, questo nostro vestito posticcio, è inoltro il braccio operativo con cui i nostri ego si manifestano, e manietestandosi si nutrono. Possiamo, senza ombra di smentita, sostenere che la nostra struttura egoica, nel sui magmatico fluire e defluire fra ego ascendenti e ego discendenti, utilizza la mente e la personalità ( veste ) per generare gli accadimenti da cui trarre sostentamento. Una personalità iraconda cercherà vittime, e realtà, su cui scatenere la voracità, ma a ben vedere tale personalità non è ira, ma un puzzle dove la tinta maggiore sarà il nero della violenza.

I testi sacri ben evidenziano il problema delle due vesti, prendiamo il loghion seguente del vangelo di Tomaso:

Log.37 I suoi discepoli dissero: in qual giorno ti manifesterai a noi e in che giorno

ti vedremo? Gesù disse: quando vi svestirete della vostra vergogna, prende

rete i vostri abiti e li metterete sotto i vostri piedi, come fanno i bambini pic

coli, e li calpesterete, allora vedrete il Figlio del Vivente e non avrete paura.

Il Cristo, è la condizione dell'essere dove l'Anima si ricongiunge in una carnalità mistica con lo Spirito. Il ritorno alla potenza dell'Individualità in Colui che è tutto, e che quindi non è, a discapito della frantumazione egoica. Tale condizione di trascendenza continua, è ottenuta nel momento in cui ci spogliamo della falsità delle nosre sovrastutture psicologiche, e stracciando queste vesti logori, tutto il nostro essere le domina calpestandole. I passi logici sono: riconoscere che siamo egoicizzati, studiare come tali riflessi si manifestano, decapitazione dell'ego.

Siracide 14:17 Ogni corpo invecchia come un abito,

è una legge da sempre: «Certo si muore!».

Trovo profondo questo versetto, dove ci ricorda che è inutile celebrare, oltre misura il nostro corpo e quindi il mondo, in quanto esso invecchia come un abito. Infatti in entrambi i casi non è certo l'armonia immutabile che è tratto caratteristico, ma solamente il lento declino. L'abito del corpo, la personalità, muore.

L'altra veste è l'abito di luce, l'abito solare o d'oro. Altro non rappresenta che l'anima formata dall'opera incensante dell'artista geniale sulla pietra: che smussandone le asprità, e aggredendo le impurità, porta alla luce il capolovaro che per millenni era stato occultato dalla materia informe.

L'uomo non viene alla luce dotato di anima formata o anima solare, ma ha in se semi lunari. Ciò che abbiamo compiuto nel corso delle ricorrenze, ciò che poniamo in essere nel nostro presente, le varie influenze a cui siamo sottoposti, saranno ostativi o fattivi per l'insuccesso o per il successo della nostra realizzazione intima.

Se la veste profana, intessuta con i liquami dell'ego, è il nostro apparire nei confronti del mondo circostante, la veste d'oro è il nostro apparire al cospetto del Dio intimo. Il nostro tendere la seconda, il nostro impedimento la prima.

In quanto dobbiamo sempre ricordarci che duplici sono le forze che ci trattengono su questo piano: inerziali e dinamiche, e chi il vero Satan siamo noi stessi. Non è forse lo specchio il più accanito avversario, e il sommo Maestro ? Dove troviamo lo specchio ? Negli occhi degli altri che ci rimandano la nostra immagine, nei nostri occhi che volgono il loro sentire verso le profondità dell'intimo.

Salmi 29:12 Hai mutato il mio lamento in danza,

la mia veste di sacco in abito di gioia,

Salmi 101:27 Essi periranno, ma tu rimani,

tutti si logorano come veste,

come un abito tu li muterai

ed essi passeranno.

I due salmi sopra riportati, inducono ad una riflessione alchemica. L'opera che si compie non è un atto che si muove solo su piani sottili, impiegando materia a noi estranea, ma il cimento è su noi stessi. L'opera si compie sfruttando l'energia occlusa nel nostro stesso abito lunare, che è illusione per altri, ma carceriere per noi stessi. L'abito di gioia non ci viene calato dall'alto, o trovato in una profonda grotta, ma si forma mutando, trascendendo, la rozza corda in fine seta. Siamo noi gli abili sarti, ma solamente perchè troviamo conforto ed insegnamento da colui che ha intessuto tutti gli arabeschi di questo mondo.

Infatti solamente mutando d'abito, come il serpente che cambia di pelle, noi potremo passare e sostenere lo sguardo divino, che è al contempo terrifico e amorevole.

Matteo 22:2 «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio.

Matteo 22:3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire.

Matteo 22:4 Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.

Matteo 22:5 Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;

Matteo 22:6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.

Matteo 22:7 Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

Matteo 22:8 Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni;

Matteo 22:9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Matteo 22:10 Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali.

Matteo 22:11 Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale,

Matteo 22:12 gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì.

Matteo 22:13 Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

Matteo 22:14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Questa parabola che riporta Matteo evidenzia come la nostra ammissione al banchetto Divino ( che suggerisce inoltre, in modo marcante, le nozze alchemiche ) è condizionata all'avere o non l'avere l'abito nuziale, o veste d'oro. In mancanza di tale indumento, non solo non verremo ammessi, ma saremo gettati nell'abisso sottostante al nostro effimero regno, a piangere la nostra inadeguatezza a sostenere lo sguardo divino ( qui terrifico ), e sottoposto ai tormenti di un'anima che ha sfiorato il cielo, e precipita per un tempo indefinito fra i tormenti.

Non è forse vero che il peggior supplizo è avere goduto della voce e della vista divina, e avere perso tale condizio ? Tale è il dolore dei caduti, tale è il dolore di chi ricorda.

Ancora la parabola ci ricorda che non sappiamo a priori quando verremo chiamati, e che quindi nessun indugio deve essere frapposto fra noi e il lavoro del paziente sarto.

Come è certa la ricompensa e certa la pena, in quanto l'incertezza è solo di questo mondo.

 

MilleNomi