"1798.
Prima salita del Monte Pizzocco nelle Dolomiti di Feltre ad opera
del barone von Zach, ufficiale mappatore".
Così si legge sulle guide e sui testi di storia delle Dolomiti,
che si rifanno tutte alla relazione di Angelo Guarnieri "Una
ascesa sul Monte Pizzocco", presentata all'adunanza
straordinaria dei soci del Club Alpino Italiano – Sezione di
Agordo il 22 agosto 1875 in Vedana…
Ma chi era dunque questo barone von Zach? E fu veramente il primo
salitore? A quest’ultima domanda non e possibile dare una
risposta sicura, anche se è estremamente probabile che la vetta
del Pizzocco fosse stata raggiunta ben prima del 1798. Ma sarebbe
sbagliato credere che sul Pizzocco, "che si erge come un
poderoso torrione a forma di corno ducale", attirati dallo
splendido panorama che offre la sua posizione dominante sulla
media Val Belluna, salissero comitive di signorotti in
escursione, magari partiti dalle numerose ville sparse nelle
amene campagne ai suoi piedi: la fruizione della montagna per
fini ricreativi ed estetici è ancora di là da venire.
Ed anche gli stessi abitatiti dei paesi circostanti sicuramente a
quei tempi non sentivano particolari motivazioni interiori che li
spingessero a scalare una montagna: questa interessava finché
rappresentava qualcosa da sfruttare ed utilizzare concretamente
nella vita quotidiana. Nelle rappresentazioni a stampa dei
territori feltrini e bellunesi infatti la nostra montagna
comincia a comparire solo nelle carte del Giampiccoli (1780),
dello Zatta (1783) e del Bacler d'Albe (1802), ma come "M.te
de Palia", a riprova del fatto che allora interessavano i
pascoli, non certo le vette; il nome M. Pizzoc appare per la
prima volta solo nella carta "Il Ducato di Venezia" del
barone Anton von Zach (1806). Tuttavia la facilità e brevità
del percorso a partire dai pascoli di Palia, già sfruttati in
epoca medievale (vedi Bersaglio, Cergnai e i suoi dintorni,
1967), fanno ritenere per certo che pastori e cacciatori locali
abbiano raggiunto precedentemente la cima; è forse ipotizzabile
anche la salita da parte di naturalisti e botanici, le cui
escursioni compiute nel Settecento per erborizzare sui monti
dell'Alpago e sulle Vette Feltrine sono ben documentate. E
perché escludere del tutto che qualcuno, precorrendo i tempi,
sia arrivato in vetta solo per "l'orgoglio di poter dire
d'essere stato lassù, per la curiosità di ammirare la propria e
l'altrui valle", cioè mosso, "su un piano artigianale,
dagli stessi sentimenti di ogni alpinista" (Piero Rossi,
Cento anni di alpinismo dolomitico italiano, R.M. 1963); come
giustificare altrimenti l'ascensione al Palmar del pievano di
Cesio don Francesco Munaro che così cantava nel 1665
l'incantevole panorama del suo amato feltrino: