Jesse Owens

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono persone che impiegano la vita intera per fare qualcosa che valga la pena di essere ricordato, altre alle quali bastano tré quarti d'ora.

Alla seconda categoria appartiene Jesse Owens, il miglior atleta prodotto dal genere umano, al quale bastò uno spicchio di pomeriggio per realizzare la più grande impresa della storia dello sport. Non stiamo, ovviamente, parlando delle quattro medaglie d'oro vinte all'Olimpiade di Berlino, davanti a un Adolf Hitler digrignante rabbia per gli exploit di quel nero, pronipote di schiavi che nei suoi primi anni di vita aveva fatto a tempo ad assaggiare la durezza del mestiere dei suoi antenati, raccogliendo cotone nei campi di Danville, in Alabama.

Quattro medaglie d'oro, nei 100, 200 metri, salto in lungo e staffetta 4x100, le vinse anche Carl Lewis a Los Ange-les, e poi per completare il poker di giorni, ad Owens, ne occorsero sei. Quel che invece il figlio del mezzadro di Danville riuscì a fare in 45 minuti del pomeriggio del 25 maggio 1935 nessun altro è mai più riuscito ad avvicinare. In quei 45 minuti, infatti, Owens stabilì cinque record del mondo e ne eguagliò un sesto. Jesse, quel giorno, doveva gareggiare nel campionato della Big Ten al Ferry Field dell'Università del Michigan, ad Ann Arbor. Owens difendeva i colori di Ohio State, dove l'allenava Larry Snyder. Al mattino comunicò al tecnico di sentirsi poco bene, ma Snyder, che conosceva perfettamente le qualità del suo gioiello, lo iscrisse comunque a quattro gare. Lo show, il più grande mai prodotto da un essere umano, incominciò alle 15.15, quando Owens vinse le 100 yards in 9"4, eguagliando il record del mondo. Dieci minuti dopo si presentò sulla pedana del lungo, per fare l'unico salto del pomeriggio. Owens atterrò a 8.13, fissando un primato che sarà migliorato, di otto centimetri appena, solo 25 anni dopo da Ralph Boston. Alle 15.45, Jesse si presentò al via delle 220 yards. Vinse, ovviamente, correndo in 20"3, tré decimi in meno del primato. Di passaggio, migliorò anche il record dei 200 metri. Infine, alle 16, l'ultima gara: le 220 yards ad ostacoli. Owens le coprì in 22"6 (primo uomo sotto i 23"). Anche qui, come nelle 220 yards, gli venne accreditato anche il primato dei 200 metri ad ostacoli. In quel pomeriggio del 25 maggio 1935, Owens realizzò il suo capolavoro. Una serie di risultati e di prestazioni incredibili, ottenute con una semplicità disarmante. Perché tutto era semplice per Jesse Owens: correre, saltare, vincere. " mio segreto -spiegò un giorno ad un giornalista - è uno soltanto: cerco di tenere i piedi a contatto con il terreno il meno possibile". Al resto pensavano i suoi muscoli di seta e la sua volontà di vittoria. Vittorie ulilissime per scappar via da una vita tull'allro che piacevole. Owens, infatti, nacque povero. Il padre mezzadro doveva raccogliere tonnellate di cotone nel tentativo di dar da mangiare ai sette figli e nel 1922 se ne scappò dall'Alabama per andare in cerca di un lavoro meno duro e più remunerativo che sperava di trovare a Cleveland, nell'Ohio. Henry Owens, a Cleveland, non trovò certo la felicità, ma almeno suo figlio, divenuto grande in fretta tanto da sposarsi a 16 anni con Ruth Solomon, trovò l'atletica e, grazie all'atletica, la possibilità di una vita migliore e quella di andare all'università. Quando Jesse finì l'High School, furono 28 i college che gli offrirono borse di studio e non perché pensavano che il figlio del mezzadro potesse vincere il premio Nobel.

Dopo i Giochi di Berlino, le parate trionfali a New York e a Cleveland (ma non il ricevimento e neppure un telegramma di congratulazioni dalla Casa Bianca), Owens lasciò l'atletica perché all'epoca si usava fare così. Le istituzioni ufficiali d'America non lo trattarono molto bene: la federazione d'atletica lo sospese per non aver voluto partecipare ad un meeting in Svezia e non fece nulla per fargli avere il Sullivan Award, il premio per il miglior atleta dilettante del Paese che, nel 1935, andò ad un golfista di nome Lawson Little e nel '36 a Glen Morris, che a Berlino vinse il decathlon. Al presidente Roosvelt, Owens non andò mai troppo a genio, forse perché, dopo l'Olimpiade, l'antilope d'ebano lavorò per Alf London, candidato alla presidenza contrapposto a Roosevelt. Owens dovette allora darsi da fare per vivere: prima trovò un posto d'allenatore ai campi pubblici di Cleveland, poi girò l'America correndo contro cani, cavalli e motociclette. Raccolti un po' di quattrini, mise su una catena di lavanderie, che fallì presto. Solo negli anni Cinquanta Owens raggiunse la sicurezza economica, quando si diede alle pubbliche relazioni. Morì a Tucson, in Arizona, di cancro ai polmoni, il 31 marzo del 1980.