Storici minori dopo Livio

A. Pollione - Trogo - V. Patercolo - V. Massimo - C. Rufo

  

 

 

Gaio Asinio Pollione

(Teate, 76 a.C. – Roma? 4 d.C.)

 

Console nel 40 a.C., "homo novus" nato da ricca famiglia, P. fu un convinto sostenitore di Cesare; dopo la morte del dittatore, appoggiò tiepidamente Antonio, trattò per lui la pace di Brindisi, ma non lo segui nello scontro finale con Ottaviano. Durante il regime augusteo, si ritirò a vita privata, in posizione di larvato dissenso.

Intellettuale di notevole spessore, fu legato in gioventù ai neòteroi (Elvio Cinna gli dedicò un "Propempticon Pofilonis") e compose opere poetiche; fu oratore di stile attivista (un atticismo quasi esasperato: uno stile "secco" fino a rasentare l’oscurità) e storico di indirizzo tucidideo: scrisse un'apprezzata storia ("Historiae", 35 a.C. in poi) delle guerre civili dal I triumvirato alla battaglia di Filippi, in 17 libri (terreno dunque scottante, scandagliato con una certa indifferenza, che però – probabilmente – non prendeva forma di aperta opposizione).

Per primo, istituì una biblioteca pubblica (39 a.C.); animò un "circolo" di letterati e introdusse l'uso delle "recitationes" (letture davanti a un pubblico di invitati).

Fu amico di Virgilio e di Cornelio Gallo, e corrispondente di Cicerone, nel cui epistolario sono comprese alcune sue lettere (unici testi pervenutici con pochi frammenti delle opere).

 

Pompeo Trogo

(sec. I a. C.)

 

Originario della Gallia Narbonense, scrisse - in età augustea - alcuni trattati scientifici, zoologici e botanici, e una storia universale in 44 libri, intitolata "Historiae Philippicae".

Con uno stile elaborato e con tendenze moraleggianti, T. andava dalle antichissime vicende di Babilonia fino ai tempi a lui contemporanei, con una maggiore attenzione alla storia della Macedonia (libri 7-40), mentre solo i 2 ultimi libri si occupavano della storia di Roma e delle regioni occidentali.

Rispetto a Livio, è cambiata la prospettiva: Roma non è più il punto di vista privilegiato e l’attore principale della storia: la sua, per T., è solo una delle numerose egemonie succedutesi nei secoli (non a caso, l’autore come fonte si avvaleva largamente di Timagene, storico contemporaneo notevolmente ostile a Roma e al principato). Insomma, per T. solo la "fortuna" ha permesso a Roma di sopraffare l’ "aretè" greca.

 

Caio Velleio Patercolo

(19 ca a.C. – dopo 30 d.C.)

 

Di famiglia campana, fece una discreta carriera pubblica: questore nel 7 e pretore nel 14 d.C., non raggiunse il consolato forse perché coinvolto nella caduta di Seiano (31 d.C.).

Di lui ci è giunto un compendio di "Storia romana", in 2 libri, con qualche lacuna nel I libro: l’opera inizia con un breve sommario della storia orientale e greca e si fa poi più ricca per le vicende recenti.

E’ un testo che ben rappresenta quel tipo di storiografia "filo-imperiale" (nella fattispecie, sotto Tiberio) condannato da Tacito. Interessanti, comunque, alcune caratterizzazioni di personaggi (talora "paradossali"), anche minori, e gli excursus sulla colonizzazione romana, sulle province, sull’antica letteratura latina, su quella del periodo ciceroniano e su quella augustea. L’artificiosità retorica ne caratterizza, infine, lo stile.

 

Valerio Massimo

(sec. I d.C.)

 

Dopo aver accompagnato nel proconsolato in Asia il suo protettore Sesto Pompeo, scrisse un manuale di esempi retorico-morali, "Factotum et dictorum memorabilium libri IX", dedicato all’imperatore Tiberio (le aspre critiche a Seiano contenute nell’opera fanno pensare ad una pubblicazione subito dopo la caduta di quello).

Il materiale, tratto da storici latini e greci (Livio, Trogo, Varrone…), è ordinato secondo criteri filosofico-morali (in primo luogo, l’esaltazione dei valori tradizionali), ma con un piano non ben definito: un prontuario di modelli di vizi e di virtù dove si susseguono "exempla" romani e stranieri (soprattutto greci) di moderazione, gratitudine, castità, crudeltà, ecc…

Dal punto di vista stilistico, sono da rilevare la ricchezza degli artifici retorici (tipici dell’età argentea) e il tono sentenzioso.

 

Curzio Rufo

(sec. I d.C.)

 

Compose delle "Historiae Alexandri Magni" (di tormentata datazione) in 10 libri, di cui sono perduti i primi 2 e parti del V, del VI, del X.

Sensibile al clima letterario ellenistico, R. vi rievoca – con ingenua e fantastica ammirazione – le imprese del macedone, ponendone in evidenza più l’aspetto esotico che l’importanza politico-sociale: facendone, quindi, un vero e proprio eroe da romanzo.

L’autore, che ha come modello di stile Livio e che trae spunto da fonti greche (Clitarco, Timagene, Aristobulo…), ha quindi certamente inteso far opera di narratore – con l’occhio attento al lettore – più che di vero storico.

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