Manilio - V. Flacco - Vitruvio - Celso - Columella - Agrippa - Mela - Apicio
Marco Manilio
(sec. I a.C – I d.C.)
Scrisse, sotto Augusto e Tiberio, un poema didascalico in esametri, "Astronomica" (interrotto al V libro), in cui espone le vicende delle costellazioni e l’influsso degli astri sul destino degli uomini. Di orientamento stoico, è ovviamente in polemica con Lucrezio – che tuttavia rimane il suo modello letterario – credendo, di contro, che l’universo sia retto e governato dalla divina ragione. L’opera rivela abilità tecnica e un certo talento letterario.
(sec. I d.C.)
Originario di Preneste, liberto e precettore dei nipoti di Augusto, scrisse varie opere filologiche, tutte perdute. Deve la sua fama a un vastissimo lavoro lessicale "De verborum significatu", ricca miniera di notizie relative alla lingua (ma dove l’interesse grammaticale era strettamente connesso con la ricerca antiquaria), di cui rimane – mutilo – un successivo compendio in 20 libri di Pompeo Festo (fine sec. II d.C.).
Vitruvio Pollione
(sec. I a.C.)
Identificato con l’ufficiale cesariano Mamurra, architetto, scrisse il "De architectura" (25-23 a.C.), un trattato in 10 libri, dedicato ad Augusto e riconducibile alla sua politica d’abbellimento architettonico di Roma.
L’opera, in parte compilatoria e in parte originale (7 libri di architettura, 1 di idraulica e 2 di gnomica e meccanica), per il suo scopo e per il suo contenuto (ricco di elementi di varia natura, tratti da discipline disparate: aritmetica, geometria, disegno, musica, prosodia, astronomia, ottica, medicina, giurisprudenza, storia, filosofia), è un unicum nel suo genere.
L’architettura è vista, in senso aristotelico, come "mimesis" dell’ordine provvidenziale della natura: perciò si richiede all’architetto una cultura ricca e varia, enciclopedica (quasi quella dell’oratore ciceroniano), che faccia perno sulla filosofia.
(età tiberiana)
Fu autore di una vasta enciclopedia – "Artes" o "Cesti" – che trattava di filosofia, diritto, agricoltura, medicina, retorica e arte militare. Ci restano, integralmente, gli 8 libri del "De medicina" (in cui si cerca di mantenere una posizione equidistante fra l’ "indirizzo empirico" e quello "razionalistico") e frammenti delle altre sezioni. Riguardo il suo stile, si pensi solo che C. fu detto "Cicero medicorum".
(sec I d.C.)
Nato a Cadice, fu tribuno militare in Siria e poi visse in Italia, dove possedeva alcune terre. Di lui ci è giunto il più completo trattato di agricoltura nell’antichità, il "De rustica", in 12 libri, che descrive il lavoro agricolo e l’allevamento, e affronta il problema della decadenza dell’agricoltura in Italia (dovuta, secondo C., al disinteresse dei proprietari, all’inadeguato sfruttamento dei vastissimi latifondi, alla mancanza di una seria preparazione scientifica in materia): a soluzione del problema, C. sembra affacciare l’ideale di una cultura enciclopedica, che faccia perno sulla filosofia.
Il X libro (l’unico in versi), sul giardinaggio, raccoglie un invito a trattarne, contenuto nelle "Georgiche". Resta anche un libro sulle piante, "De arboribus", parte di un’opera più vasta. C. scrive in una prosa limpida e scorrevole, e anche i suoi versi sono discreti; le fonti sono quelle consuete del genere, ma predominante è l’esperienza personale dell’autore.
Autore di una carta geografica con relativi commentari.
(Tingetela, Gibilterra, sec. I)
Fu il primo geografo "puro", con la sua "De chorographia", in 3 libri, che con stile che potermmo definire "sallustiano" ed attingendo a varie fonti, descrive la terra prendendo come punto di riferimento-base il Mediterraneo; e l’opera, benché sia poco più che un repertorio di nomi, è ricca di interessanti notizie etnografiche e geoclimatiche.
(sec. I d.C.)
Autore di un "De re coquinaria", in cui, più che allo stile (piuttosto pedestre), l’attenzione è rivolta alla creatività e alla elaborazione scenografica dei piatti.
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