Pezzi

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1.   Vai in Africa, Celestino!   4:00
2. Numeri da scaricare 4:40
3. Gambadilegno a Parigi 5:24
4. Tempo reale 5:15
5. Parole a memoria 5:21
6. La testa nel secchio 6:33
7. Passato remoto 3:50
8. Il panorama di Betlemme 5:46
9. Le lacrime di Nemo - l'esplosione - la fine 4:17
10. Il vestito del violinista 4:53

[P] & [C] 2005 - Sony

Nel 2005, De Gregori ha ricevuto la targa Tenco perché l'album "Pezzi" è stato nominato il miglior album del 2005.

«Questa è la confessione di un uomo confuso che descrive il mondo nell'unico modo oggi possibile, attraverso i pezzi che ne conosce», così De Gregori ha presentato il nuovo album, "Pezzi", registrato nella sua tenuta in Umbria (dove aveva già inciso "Il fischio del vapore") e uscito venerdì 25 Marzo 2005, a 4 anni di distanza da "Amore nel pomeriggio". L'album è stato anticipato nelle radio l'11 marzo dal singolo "Vai in Africa, Celestino!", definita dallo stesso De Gregori «una canzone sull'antinferno e sul libero arbitrio».

«E’ un disco sulla nostra contemporaneità, doloroso, non luminoso, che pone interrogativi. Trovo sia uno specchio del momento, del tempo che stiamo vivendo».

«"Pezzi" è il simbolo del mondo in frantumi in cui viviamo. Pieno di guerre, sangue e bambini che muoiono di fame». «Sono realista. Basta accendere la televisione per capire a che punto siamo arrivati».

«Il mondo è a pezzi, non lo salveranno, né lo spiegheranno le mie canzoni. Il disco è pieno di cadaveri, di guerre, di violenza: come le storie che vediamo nei TG o intorno a noi. Non riesco a scrivere d’altri tempi se non del mio. Questo è un album dolente, scritto in tempi dolenti, da cronache del dopobomba».

«Sono contenuti importanti, è un disco scandaloso per quel che racconta: ma la musica aiuta a digerire tali contenuti».

«Sì lo so, alcune canzoni sono terribili, bambini soldato sepolti in piedi, feriti fucilati, immagini terribili, ma è l'idea che dà la televisione quando mostra la strage di Beslan. Più che spietato, è il riflesso di come va il mondo. Certo, avrei potuto fare un disco parlando della mia vita sentimentale, ma non era quello che volevo. Non so se si possa definire un disco neorealista, forse sì, anche se ci sono delle visioni, e anzi originariamente il titolo doveva essere proprio "Visioni"».

«Non mi piacciono Berlusconi, i suoi, come governa, certe leggi costruite su misura per se stesso e la sua corte, ma è un avversario politico, non è un nemico, non è l’unico male e non mi entusiasmo tifando contro. Forse i giovani vedono l’Italia che resiste, io no. ”Tempo reale” racconta l’Italia di oggi, paese di ladri, assassini, mignotte, magnaccia, mafiosi, politici svenduti. E allora mi arruolo con gli ignavi che Dante condannava al pre-Inferno: ”Vai in Africa, Celestino!” parla di questo. Mi sento come il Papa che non volle essere Papa, quello del gran rifiuto: potremmo andarcene nel continente nero tutti e due, a cercare avventure o a lottare davvero per un mondo migliore: contro la fame, la sete, l’Aids. Altro che politica».

Quanto tempo l’ha impiegata? Quali i pezzi preferiti?
«Sei mesi. Vai in Africa, Celestino , il primo brano, è anche l’ultimo che ho scritto e al cui testo sono più attaccato. Così come Gambadilegno a Parigi e Numeri da scaricare ».

«In realtà questo disco è pieno di parole, mi rendo conto, ma se sta in piedi, secondo me, è per il suono. È un capitolo diverso, ci sono arrivato per gradi attraverso dischi dal vivo, alcuni criticati, altri criticabili, ma che a me sono serviti ad arrivare a una sonorità che dieci anni fa me la sarei sognata. Molti di questi pezzi saranno esattamente così anche dal vivo».

«E’ figlio dei tanti dischi dal vivo fatti e dei concerti degli ultimi anni, dell’unione profonda col gruppo, basta un’occhiata e sappiamo cosa fare. Non ci fosse stata questa coesione dubito che "Pezzi" sarebbe venuto così. Dentro c’è tutta la gioia di creare, suonare insieme».

«E' la prima volta che un mio disco suona esattamente come suonerà dal vivo con la mia band».

«E' quello che cercavo da anni: merito anche della mia band. Rifiuto la tecnologia: meglio basso, batteria e chitarra».

Quanto, se lo ha fatto, ha influito sul prodotto finale "Pezzi" l’improvvisa scomparsa, a soli 40 anni, del mandolinista Marco Rosini?
«È successo all'improvviso. Noi della band abbiamo davvero perso un fratello. Per questo non abbiamo voluto sostituirlo con un altro mandolinista. La sua scomparsa è una di quelle cose che non riesci a spiegarti».
«Abbiamo suonato insieme dal primo all’ultimo giorno, fino all’ultima nota. Anzi, preso dai dubbi l’ho richiamato perché per "Gambadilegno a Parigi" mi sembrava mancasse un po’ di mandolino. E’ arrivato, ha suonato e pochi giorni dopo... Resta una presenza affettuosa, bella, luminosa. Alla notizia della sua scomparsa siamo rimasti senza fiato. La sua è una mancanza forte, lancinante perché era una persona squisita, buona, piena di talento. Fare la pace con la sua assenza non è facile. Non sono triste, neanche gli altri, perché ne conservo, tutti noi anzi, un ricordo bello. Che ride e ci sorride».