Anno 1 Numero 16 Mercoledì 24.07.02 ore 23.45 

 

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Sotto corte marziale 

Regia di Gregory Hoblit (Hart's War) con Bruce Willis, Colin Farrel

Critica di Gian Paolo Albini 

A volte cerchi un cerino e trovi un vulcano.
Non mi aspettavo molto da questo film che si annunciava come l'ennesima storia di guerra con campo di concentramento tedesco, prigionieri americani, tentativo di fuga, qualche raffica di mitragliatrice e fredde baracche di legno scuro; rubando un po' alla GRANDE FUGA(1963) e un po' a STALAG 17 di BILLY WILDER.
Invece è di più. Tema principale del film è il razzismo. Il vero protagonista non è Willis, ma un
certo Farrell, il tenente Hart del

 

 

titolo originale, che si trova a dover difendere un ufficiale di colore dall'accusa di omicidio. La vittima in questione è un sergente, razzista del profondo sud, che aveva fatto uccidere sommariamente dai tedeschi un altro ufficiale di colore collega dell'aviatore. 
Il film evidenzia che il razzismo di alcuni americani nei confronti dei neri è ancora più forte di quello dei tedeschi. Il colonnello del campo, una volta tanto, non è il solito grassone spietato e ottuso. Ascolta dischi jazz nel suo alloggio anche se di musica proibita, ha una visione pessimistica della vita; volto aguzzo da aristocratico, beve troppo, e ha studiato in America, prima della guerra, a Yale.
Ha un suo senso dell'onore e aiuta il giovane tenente Hart che

 

 

difenderà l'ufficiale nero accusato dell'uccisione del sergente. I giochi però sono altri ancora.... 
Voi direte: ma in tutto questo Bruce Willis che fa? Fa poco, ma lo fa bene.
Willis si chiama McNamara ed è il colonnello americano comandante dei prigionieri, l'unico che può trattare con il colonnello tedesco.
Ma nessuno è pulito, tutti hanno la rogna, gli eroi veri stanno altrove.
Il finale è bello e terribile, ma sarei una carogna a svelarlo, guastandovi la visione di questo film insolito e avvincente. Una parola a parte, per la fotografia: livida e invernale, neve e fango, l'oscurità rotta dai lampi dei riflettori.
E quel po' di sole, quando c'era, era anch'esso una menzogna. Di li a tre mesi la guerra sarebbe finita. 

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