LA BATTAGLIA DEL PONTE DEL DUCA

Non è raro che dopo  lunghissimo periodo  di decadenza, un popolo si meravigli delle vestigia lasciate  dai propri antenati  e addirittura  pensi che siano  opera di altra gente. Così  accadeva   a Roma nel medioevo, quando rozzi  pastori pascolavano le pecore tra templi e cattedrali in rovina ( "immemori di tanta gloria" avrebbe detto il Foscolo), cosi oggi,  in Egitto,   ignoranti cammellieri guardano timorosi e perplessi le  formidabili piramidi e  così , infine, ai giorni nostri accade  a Torre, durante  questo  nostro lungo e tenebroso  medioevo. In breve, siamo tanto caduti in basso,  che rifiutiamo di credere che qualche nostro antenato sia stato capace di qualche azione degna di nota.

Per questo sono  in debito con  Adamo Barone il quale, dopo un cinquantennio di oblio, ha riportato alla mia memoria la battaglia del Ponte del Duca. Confesso che anche io, come del resto  la totalità dei torresi, l’ avevo  completamente dimenticata .

L'importanza del  racconto di Adamo   è duplice: da una parte ci suggerisce la ragione che sta a monte della storia, dall'altra, involontariamente  ci conferma la veridicità di un'altra leggenda: quella del Pescone di San Ciriaco. "Adamo di Menestrella"  ha praticamente preso 2 piccioni con una fava. 

Cercherò per quanto possibile di essere chiaro:  Adamo adduce a motivo della lite  tra Torresi e pietrafusani ingerenze da parte di quest'ultimi sulla determinazione della giurisdizione dei pesi e delle misure.  Il fatto è che non furono i pietrafusani,  bensì i montefuscani ( o montefuscolesi) a pretendere di usare la loro giurisdizione su Torre . Quindi come si spiega ciò? Un errore??  Secondo me, invece, questa apparente svista nasconde un episodio ancor più importante: quello del furto della statua di San Ciriaco, avvenuta qualche anno dopo ad opera di alcuni ladri provenienti da Pietradefusi. Il furto deve essere stato commesso dopo il 1712,  altrimenti   ce ne sarebbe stata traccia nel Regesto dei Miracoli di San Ciriaco ( opera preziosissima  che una volta si custodiva nella chiesa e  che un incosciente prete ha regalato). Con gli anni si è compiuta una  sostituzione, per cui ai colpevoli  montefuscani sono subentrati gli innocenti, ma sacrileghi,  cugini di Pietradefusi. 

Vero è, pure, che storicamente la disputa potrebbe  essere nata da una legge del 20 marzo 1683, con cui la Regia Udienza deliberava che "nessuno poteva comprare pane o altra mercanzia in Dentecane senza pagare una gabella all'Università di Pietradefusi". Si potrebbe  obiettare che  l’utilizzo delle fionde da parte dei Felettesi collocherebbe   l'azione in   un’epoca molto anteriore. Però credo con Adamo Barone che il problema sia nato dalle ingerenze di Montefusco, che considerava  l’ Università di Torre ancora come un suo casale o frazione.  La disputa iniziata intorno al 1673  terminò nel 1688. Nel 1697 ci prova Montemiletto ad annullare l'autonomia di Torre le Nocelle ( cosa che stanno facendo oggi con le scuole, mentre noi giochiamo a carte o filosofeggiamo sul pallone).  L 'ho scritto sopra....a Torre stiamo vivendo un secondo  medioevo!

La storia ce la immaginiamo così ......

 

 

7 Agosto 1687  a Torre delle Nocelle 

Erano  appena spuntate  le stelle del Valano; Tre astri della costellazione del Sagittario, che sembrano rincorrersi nella volta celeste e che da sempre indicavano ai torresi l'ora per approntare i buoi per l'aratura.  
Valano  era il nome di colui che conduceva la pariglia di buoi, a cui si aggiogava la pertecara, l'aratro. Mastro Matteo De Santis si affacciò alla finestra di casa sbadigliando.La giornata si annunciava caldissima, come del resto  era stata  tutta quella prima settimana di agosto. Lo attendevano diversi lavori,  prima di potersi lavare e mettere i panni della festa. Poi sarebbe andato  a Piazza della Terra dove quel giorno si teneva la fiera di San Donato, la più importante dell'anno. L'indomani poi ci sarebbe stata  festa grande: quella di San Ciriaco che oramai si teneva da una quarantina di anni e che richiamava sempre più gente dai dintorni. Travasò il vino dalla botte agli orci di terracotta, caricò un carretto di legna e andò a fare  a pezzi due pecore che aveva macellato il giorno prima. Mastro Matteo aveva una osteria  ed era indaffaratissimo; Presto  sarebbe stato assediato da una torma di persone affamate  ed assetate.  Aprì la sua osteria  e pose sullo stipite della porta una profumata frasca di alloro fresco. Questa avrebbe tenuto lontano le mosche ed indicato a mercanti e pellegrini che lì c’era un luogo di ristoro. Sua moglie Meneca accese il fuoco e cominciò a cucinare le frattaglie di pecora con pomodoro, aglio, erbe aromatiche e tantissimo peperoncino. Più la pietanza sarebbe stata piccante, più gole riarse avrebbero cercato ristoro nel  vino. Le figlie intanto si portarono al Fontana della Terra a prendere l’acqua.

Verso le otto di mattina il paese cominciò a popolarsi. Mastro Matteo, terminate le incombenze, decise di andare a vedere come si presentava la fiera. Salì per via Santa Maria, passò sul Pianello e sbucò sullo spiazzo della torre. Già i mercanti avevano dispiegato le loro merci su banchetti di legno o direttamente per terra.  Il venditore di stoffe veniva addirittura da Bari. Anche i contadini cominciavano ad arrivare, portando animali ed ortaggi da vendere o barattare.  In un angolo dello spiazzo c’erano quattro venditori di sementi, che si guardavano in cagnesco e Matteo pensò che era  da stupidi mettersi uno accanto all’altro. Fece il giro completo della fiera e si fregò le mani: c’era tanta gente e altri arrivavano dalle contrade. Imboccò via Trinità e ben presto si ritrovo davanti al suo locale. Dall’interno arrivavano le voci concitate di sua moglie e di altre persone. Come entrò, intravide una persona anziana, dall’aspetto autoritario ed arrogante, che alzava il suo bastone , come per minacciare sua moglie, e dopo un attimo di indecisione lo faceva ricadere sopra le ammole di terracotta, fracassandole in mille pezzi. Mastro Matteo fece per lanciarsi sul vecchio, ma quattro uomini , che evidentemente accompagnavano il vecchio, gli sbarrarono il passo.  Gli sconosciuti  uscirono lasciando l’oste esterrefatto e sua moglie Meneca in lacrime. La donna raccontò che  erano arrivati in cinque, che il vecchio era il mastrodatto di Montefuscolo e che pretendeva una tassa per  certificare che la capacità delle ammole era conforme a quella di Montefuscolo. Al rifiuto di lei aveva sfasciato tutti i boccali di creta. Mastro Matteo uscì immediatamente e ritornò sullo spiazzo dove si teneva la fiera. Incontrò immediatamente mastro Giovanni Sagliuccolo, che era Capitano eletto del popolo torrese. Espose i fatti e entrambi si misero alla ricerca dei montefuscolesi. Non dovettero cercare molto! Udirono quasi subito un trambusto ed arrivarono nel luogo dove stavano i sementari, giusto in tempo per vedere il vecchio che con un  calcio   faceva cadere  per terra un sacco di semi di rapa. Scoppiò un tafferuglio e molti accorsero.  Mastro  Giovanni Sagliuoccolo  chiese spiegazioni al mastrodatto, il quale  con arroganza ribadì che Torre era casale di Montefuscolo,per cui era demandata a lui la competenza dei pesi e delle misure e che, considerato il numero di mercanti,  doveva riscuotere per lo meno 12 ducati e 7 tarì. A queste parole i mercanti inferociti  lanciarono minacce verso i cinque …ma anche qualche insulto e qualche buccia di melone. Purtroppo un uovo, non proprio di giornata, colpì in pieno petto il mastrodatto  che, capita l’aria che spirava, se ne andò, non prima però di lanciare durissime minacce contro i torresi : “ Non avete voluto pagare 12 ducati, preparatene per lo meno dieci volte tanto, che presto , molto presto verremo ad esigere”. Detto questo se ne andarono giù per la Chiesa, verso la Porta della Terra dove avevano lasciato i loro cavalli. Mastro Giovanni non sottovalutò le parole del vecchio, ma prego Beniamino Luongo e Federico Cirignano, che abitavano ai confini di Pietra de li Fusi di vigilare  e di avvisarlo nel caso avessero visto qualcosa di strano. La mattinata passò tranquilla: i mercanti erano soddisfatti come pure i contadini che erano riusciti a concludere buoni affari.

Mancava mezz’ora ai vespri quando Giacomino Luongo, un ragazzetto di 11 anni, messo prudentemente di vedetta, avvistò un nutrito gruppo di persone, parte a cavallo, parte appiedati, che dalla Via Nova di serra scendeva verso  Dentecane. Subito avvisò suo padre che lanciò una serie lunghissima di acuti fischi.  Il suono ripreso in Contrada Cirignano, fu rimandata ai Grifi, accarezzò i campi di Contrada Fontanella, salì per Porta Nuova, fu rispedito al Pianello , alla  torre, si inerpicò per Santa Juliana, rimbalzò per San Mercurio, sibilò tra le querce del Bosco della Fajana, gorgogliò nelle acque di Santo Pietro, si insinuò tra gli orti di Nandri, insomma da colle a valle, da Carpino a Campo Fratto, da Felette fin giù negli sperduti Valluni, fu un susseguirsi di concitati ed allarmati fischi. In pochi minuti ed alla spicciolata si ritrovarono davanti alla torre e presero la strada che da Porta della Terra va a Dentecane. Man mano che altra gente arrivava dalle contrade più lontane, venivano spedite di corsa nella direzione dei primi. 

Ponte del Duca da sempre segnava i confini tra  Torre di Montefuscolo e Pietra de li Fusi . Lì si fermarono i torresi  e lì, dall’altra parte del ponte,  si fermarono più di un centinaio di montefuscolesi. Per qualche minuto si studiarono, valutando le forze. I torresi erano in inferiorità numerica, ma alla spicciolata arrivavano altri compaesani a rinforzare la schiera. Dalla schiera nemica partirono i primi insulti, prontamente replicati  dai nostri.

“Lazzaruni !” …”Faccengiallute”……”Carugnuni”… “Figli e pottana” e così via per qualche tempo. Fu una ingiuria ritenuta terribile dai montefuscolesi che fece scatenare la battaglia. Un torrese si ricordò di una diceria che correva sul paese nemico, vale a dire quella di mangiare conigli e lepri non proprio di razza pura e  gridò a pieni polmoni  “Mangiajatteeeeee”.  Con un urlo di rabbia i montefuscani si lanciarono all’attacco brandendo grossi bastoni ed altrettanto fecero i torresi. Lo scontro avvenne pressappoco al centro del ponte  e dapprima assunse l’aspetto di una battaglia fra due schiere compatte,  ma ben presto si frantumò  in tante  piccole scaramucce. Finché pugno si contrappose a pugno, calcio a calcio e bastone a bastone, l’esito rimase a lungo incerto.  Avvenne, però, che i quattro sgherri che avevano accompagnato il mastrodatto quella stessa mattina (probabilmente spagnoli), montarono a cavallo  e  tirate fuori le spade, cominciarono a menare fendenti.  Subito un paio di giovani  furono feriti abbastanza seriamente. I torresi cominciarono ad ripiegare, mentre i mangiagatti riprendevano coraggio e si facevano sempre più audaci. La nostra schiera si era ritirata al limite del ponte, quando si udì una specie di frullo seguito da un immediato fruscio ed ancora da colpi secchi e da urla strazianti. Un gruppo di ragazzi felettesi, abili uccellatori di acquatici ed esperti nell’uso della fionda  erano appena giunti al ponte e resosi conto del pericolo che correvano i nostri, avevano tirato fuori  i loro lacci di cuoio. La prima salva di proiettili atterrò i cavalieri, ma colpì anche i cavalli che si imbizzarrirono e cominciarono a scalciare,creando panico e confusione. Un’altra ondata di ciottoli che ruppe diversi nasi e diverse zucche fece ritirare gli aggressori verso l’altra estremità del Ponte del Duca. Qui cercarono di riorganizzarsi e tentarono di reagire con una sassaiola. Una fionda, però, in mano ad una persona esperta  ha la stessa gittata di un arco  e può raggiungere  anche i  trecento metri, mentre il migliore lanciatore di sassi difficilmente supera i cento. Un proiettile di Salvatore Coluzzello  centrò l’occhio di tal Ciccio Taetti, un chianchiere di Montefuscolo e glielo cavò. A questo punto gli invasori, portando a braccia i loro numerosi feriti si ritirarono con la coda tra le gambe e mai più si fecero vedere. Il giorno dopo, alla festa di San Ciriaco, ai ragazzi Felettesi fu concesso l’onore di portare la statua del Santo per tutta la processione.

Questa ricostruzione la dedico ad Adamo Barone

ed alle famiglie De Santis e Sagliuoccolo, che pur abitando in USA e pur non conoscendo Torre, sono convinti che una radice della loro anima sia piantata qui!