7 Agosto 1687 a Torre delle
Nocelle
Erano
appena spuntate le stelle del Valano; Tre astri della
costellazione del Sagittario, che sembrano rincorrersi nella volta
celeste e che da sempre indicavano ai torresi l'ora per approntare i
buoi per l'aratura.
Valano era il
nome di colui che conduceva la pariglia di buoi, a cui si aggiogava la pertecara, l'aratro. Mastro Matteo De Santis si affacciò
alla finestra di casa sbadigliando.La giornata si annunciava
caldissima, come del resto era stata
tutta quella prima settimana di agosto. Lo attendevano
diversi lavori, prima di potersi lavare e mettere i panni della
festa. Poi sarebbe andato a Piazza della Terra dove quel
giorno si teneva la fiera di San Donato, la più importante
dell'anno. L'indomani
poi ci sarebbe stata festa grande: quella di San Ciriaco che oramai
si teneva da una quarantina di anni e che richiamava sempre più
gente dai dintorni. Travasò il vino dalla botte agli orci di
terracotta, caricò un carretto di legna e andò a fare a
pezzi due pecore che aveva macellato il giorno prima. Mastro Matteo
aveva una osteria ed era indaffaratissimo; Presto
sarebbe stato assediato da una torma di persone affamate ed
assetate. Aprì la sua osteria e
pose sullo stipite della porta una profumata frasca di alloro
fresco. Questa avrebbe tenuto lontano le mosche ed indicato a
mercanti e pellegrini che lì c’era un luogo di ristoro. Sua
moglie Meneca accese il fuoco e cominciò a cucinare le frattaglie
di pecora con pomodoro, aglio, erbe aromatiche e tantissimo
peperoncino. Più la pietanza sarebbe stata piccante, più gole
riarse avrebbero cercato ristoro nel vino. Le figlie intanto si portarono al Fontana della
Terra a prendere l’acqua.
Verso le otto
di mattina il paese cominciò a popolarsi. Mastro Matteo, terminate
le incombenze, decise di andare a vedere come si presentava la
fiera. Salì per via Santa Maria, passò sul Pianello e sbucò sullo
spiazzo della torre. Già i mercanti avevano dispiegato le loro
merci su banchetti di legno o direttamente per terra.
Il venditore di stoffe veniva addirittura da Bari. Anche i
contadini cominciavano ad arrivare, portando animali ed ortaggi da
vendere o barattare. In
un angolo dello spiazzo c’erano quattro venditori di sementi, che
si guardavano in cagnesco e Matteo pensò che era
da stupidi mettersi uno accanto all’altro. Fece il giro
completo della fiera e si fregò le mani: c’era tanta gente e
altri arrivavano dalle contrade. Imboccò via Trinità e ben presto
si ritrovo davanti al suo locale. Dall’interno arrivavano le voci
concitate di sua moglie e di altre persone. Come entrò, intravide
una persona anziana, dall’aspetto autoritario ed arrogante, che
alzava il suo bastone , come per minacciare sua moglie, e dopo un
attimo di indecisione lo faceva ricadere sopra le ammole di
terracotta, fracassandole in mille pezzi. Mastro Matteo fece per
lanciarsi sul vecchio, ma quattro uomini , che evidentemente
accompagnavano il vecchio, gli sbarrarono il passo. Gli sconosciuti uscirono
lasciando l’oste esterrefatto e sua moglie Meneca in lacrime. La
donna raccontò che erano
arrivati in cinque, che il vecchio era il mastrodatto di
Montefuscolo e che pretendeva una tassa per
certificare che la capacità delle ammole era conforme
a quella di Montefuscolo. Al rifiuto di lei aveva sfasciato tutti i
boccali di creta. Mastro Matteo uscì immediatamente e ritornò
sullo spiazzo dove si teneva la fiera. Incontrò immediatamente
mastro Giovanni Sagliuccolo, che era Capitano eletto del popolo torrese. Espose i fatti e entrambi si misero alla ricerca dei
montefuscolesi. Non dovettero cercare molto! Udirono quasi subito un
trambusto ed arrivarono nel luogo dove stavano i sementari, giusto
in tempo per vedere il vecchio che con un
calcio faceva
cadere per terra un
sacco di semi di rapa. Scoppiò un tafferuglio e molti accorsero.
Mastro Giovanni
Sagliuoccolo chiese
spiegazioni al mastrodatto, il quale
con arroganza ribadì che Torre era casale di
Montefuscolo,per cui era demandata a lui la competenza dei pesi e
delle misure e che, considerato il numero di mercanti,
doveva riscuotere per lo meno 12 ducati e 7 tarì. A queste
parole i mercanti inferociti lanciarono minacce verso i cinque …ma anche qualche
insulto e qualche buccia di melone. Purtroppo un uovo, non proprio
di giornata, colpì in pieno petto il mastrodatto
che, capita l’aria che spirava, se ne andò, non prima però
di lanciare durissime minacce contro i torresi : “ Non avete
voluto pagare 12 ducati, preparatene per lo meno dieci volte tanto,
che presto , molto presto verremo ad esigere”. Detto questo se ne
andarono giù per la Chiesa, verso la Porta della Terra dove avevano
lasciato i loro cavalli. Mastro Giovanni non sottovalutò le parole
del vecchio, ma prego Beniamino Luongo e Federico Cirignano, che
abitavano ai confini di Pietra de li Fusi di vigilare
e di avvisarlo nel caso avessero visto qualcosa di strano. La
mattinata passò tranquilla: i mercanti erano soddisfatti come pure
i contadini che erano riusciti a concludere buoni affari.
Mancava
mezz’ora ai vespri quando Giacomino Luongo, un ragazzetto di 11
anni, messo prudentemente di vedetta, avvistò un nutrito gruppo di
persone, parte a cavallo, parte appiedati, che dalla Via Nova di
serra scendeva verso Dentecane.
Subito avvisò suo padre che lanciò una serie lunghissima di acuti
fischi. Il suono ripreso in Contrada Cirignano, fu rimandata ai
Grifi, accarezzò i campi di Contrada Fontanella, salì per Porta
Nuova, fu rispedito al Pianello , alla
torre, si inerpicò per Santa Juliana, rimbalzò per San
Mercurio, sibilò tra le querce del Bosco della Fajana, gorgogliò
nelle acque di Santo Pietro, si insinuò tra gli orti di Nandri,
insomma da colle a valle, da Carpino a Campo Fratto, da Felette fin
giù negli sperduti Valluni, fu un susseguirsi di concitati ed
allarmati fischi. In pochi minuti ed alla spicciolata si ritrovarono
davanti alla torre e presero la strada che da Porta della Terra va a
Dentecane. Man mano che altra gente arrivava dalle contrade più
lontane, venivano spedite di corsa nella direzione dei primi.
Ponte del Duca
da sempre segnava i confini tra
Torre di Montefuscolo e Pietra de li Fusi . Lì si fermarono
i torresi e lì,
dall’altra parte del ponte, si
fermarono più di un centinaio di montefuscolesi. Per qualche minuto
si studiarono, valutando le forze. I torresi erano in inferiorità
numerica, ma alla spicciolata arrivavano altri compaesani a
rinforzare la schiera. Dalla schiera nemica partirono i primi
insulti, prontamente replicati
dai nostri.
“Lazzaruni
!”
…”Faccengiallute”……”Carugnuni”… “Figli e pottana”
e così via per qualche tempo. Fu una ingiuria ritenuta terribile
dai montefuscolesi che fece scatenare la battaglia. Un torrese si
ricordò di una diceria che correva sul paese nemico, vale a dire
quella di mangiare conigli e lepri non proprio di razza pura e
gridò a pieni polmoni “Mangiajatteeeeee”.
Con un urlo di rabbia i montefuscani si lanciarono
all’attacco brandendo grossi bastoni ed altrettanto fecero i
torresi. Lo scontro avvenne pressappoco al centro del ponte
e dapprima assunse l’aspetto di una battaglia fra due
schiere compatte, ma
ben presto si frantumò in
tante piccole
scaramucce.
Finché pugno si contrappose a pugno, calcio a calcio e
bastone a bastone, l’esito rimase a lungo incerto.
Avvenne, però, che i quattro sgherri che avevano
accompagnato il mastrodatto quella stessa mattina (probabilmente
spagnoli), montarono a cavallo e
tirate fuori le spade, cominciarono a menare fendenti.
Subito un paio di giovani
furono feriti abbastanza seriamente. I torresi cominciarono
ad ripiegare, mentre i mangiagatti riprendevano coraggio e si
facevano sempre più audaci. La nostra schiera si era ritirata al
limite del ponte, quando si udì una specie di frullo seguito da un
immediato fruscio ed ancora da colpi secchi e da urla strazianti. Un
gruppo di ragazzi felettesi, abili uccellatori di acquatici ed
esperti nell’uso della fionda
erano appena giunti al ponte e resosi conto del pericolo che
correvano i nostri, avevano tirato fuori
i loro lacci di cuoio.
La prima salva di proiettili atterrò
i cavalieri, ma colpì anche i cavalli che si imbizzarrirono e
cominciarono a scalciare,creando panico e confusione. Un’altra
ondata di ciottoli che ruppe diversi nasi e diverse zucche fece
ritirare gli aggressori verso l’altra estremità del Ponte del
Duca. Qui cercarono di riorganizzarsi e tentarono di reagire con una
sassaiola. Una fionda, però, in mano ad una persona esperta
ha la stessa gittata di un arco
e può raggiungere anche
i trecento metri,
mentre il migliore lanciatore di sassi difficilmente supera i cento.
Un proiettile di Salvatore Coluzzello
centrò l’occhio di tal Ciccio Taetti, un chianchiere di Montefuscolo e glielo
cavò. A questo punto gli invasori, portando a braccia i loro
numerosi feriti si ritirarono con la coda tra le gambe e mai più si
fecero vedere. Il giorno
dopo, alla festa di San Ciriaco, ai ragazzi Felettesi fu
concesso l’onore di portare la statua del Santo per tutta la
processione.
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